Forme e suggestioni dal mondo perduto dell’Antico Egitto

Sarcofagi decorati, suppellettili, sculture, iscrizioni. È decisamente ricca di novità la mostra Egitto mai visto, allestita prima a Trento e ora a Reggio Calabria, che fa conoscere al pubblico grandi tesori del mondo egizio, quasi del tutto mai esposti prima. Un occasione per conoscere la cultura egizia, con particolare attenzione a quel misto di pratiche religioso-sacrali che caratterizzano una delle realtà culturali più floride e misteriose della storia.

Villa Genoese Zerbi, sede della mostra.

Il fascino del mondo Egizio, spesso legato, nella nostra mente, all’imponente immagine delle piramidi che sfiorano il cielo, alla misteriosa e a tratti affascinante pratica della mummificazione e al grande splendore artistico e culturale testimoniato oggi dai numerosissimi siti archeologici, rivive ogni volta in cui il fruitore può entrare in contatto con i reperti, osservare con i propri occhi il profumo d’antico emanato dalle steli, dai sarcofagi e dalle testimonianze di una delle culture più floride della storia, vissuta a partire dal IV millennio a.C.
Tra le numerose campagne di scavo svolte sul territorio del Nilo, ricordiamo qui quella diretta dal 1908 al 1920 dal celebre egittologo Ernesto Schiaparelli, che ha permesso di riportare alla luce grandi testimonianze delle necropoli di Assiut e di Gebelein.

Sarcofago

Egitto mai visto è la mostra allestita a Reggio Calabria (precedentemente al Castello del Buonconsiglio di Trento), visitabile fino al 20 giugno 2010, che espone circa 400 reperti, custoditi nei depositi del Museo Egizio di Torino e per lo più mai esposti al pubblico. È stato lungo il processo di studio e restauro dei reperti, che oggi possono essere goduti dagli occhi avidi di conoscenza degli appassionati. La mostra, mirabilmente preparata dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici del Piemonte, dal Museo Antichità Egizie e dalla Società Cooperativa archeologica, si snoda su due piani, in un percorso che a tratti sembra piombare nell’oscurità delle tombe egizie e nel fascino incontaminato della scoperta archeologica.
All’entrata dell’esposizione colpiscono, oltre le numerose steli che riportano i celebri geroglifici, alcune cassette che contengono fiori, petali, ramoscelli, anticamente disposti all’entrata della tomba, e uova avvolte in fascette di papiro, cibo per la vita eterna. Di grandissimo interesse sono i dodici sarcofagi a cassa (ai quali se ne aggiungono altri due molto più curiosi: una sezione di tronco e una cesta), in legno stuccato e dipinto, che riportano geroglifici che a volte rendono possibile l’identificazione della persona mummificata o della loro famiglia. Curioso è il dettaglio che compare su tutti i sarcofagi – che d’altronde è anche il simbolo identificativo della mostra – che rappresenta due occhi: si tratta degli occhi aperti di Horus, figlio di Osiride, che indicano quindi il vedere, il riempire di luce, la vita dopo la morte; al contrario i suoi occhi chiusi rimandano all’oscurità e alle tenebre.

Sarcofaco con gli “occhi di Horus”

Visitando le numerose sale, salta subito all’occhio che accanto a steli con geroglifici, compaiono frammenti di papiro o cocci con caratteri alfabetici. Questo rende chiaro il fatto che l’Egitto non ha sempre usato una sola forma scrittoria, ma ha impiegato sostanzialmente ben quattro forme differenti: prima di tutto il geroglifico, sistema misto, formato da segni con valore fonetico e segni con valore ideografico, la più celebre forma scrittoria dell’Antico Egitto, che si può trovare sia scritta in colonna che in riga; lo ieratico, scrittura corsiva rivolta da destra a sinistra, il demotico, quasi una forma stenografica utilizzata a partire dalla XXVI dinastia e all’inizio prevalentemente per usi amministrativi, e infine il copto, lingua tarda che utilizza le lettere maiuscole dell’alfabeto greco con l’aggiunta di sei o sette caratteri demotici.

Stele

Un percorso ricco di elementi magico-sacrali dunque, provati dalle numerose steli incise, dalle offerte, e da tutto il corredo che il morto portava con sé nell’aldilà; ci sono pettini, oggetti preziosi, profumi, e quanto altro può servire al defunto nella nuova vita, subito dopo il rigido giudizio di Anubi, il dio con la testa di cane che, insieme a Thot in qualità di scriba, pesa con la bilancia il cuore degli uomini.
Nella mostra c’è posto anche per alcuni oggetti di “bellezza”, come lo specchio di bronzo con manico, o l’interessante cofanetto per toeletta arricchito da placchette di osso e faience azzurra, ad imitazione della turchese.
I personaggi rappresentati sui sarcofagi e sulle steli sono disposti con il corpo frontale e il volto di profilo e possiedono il caratteristico colore rosso-bruno per la pelle degli uomini e molto più pallido per quella femminile. Fa da cornice all’Egitto mai visto, curato in ogni dettaglio, la favolosa Villa Genoese Zerbi, riedificata dopo il sisma del 1908, con forme alquanto suggestive. Un contorno degno di nota, arricchito, nel lato che si affaccia sul luminoso lungomare Falcomatà, da sculture contemporanee dai ricchi colori e dalla forme sinuose e studiate.

Cofanetto per toeletta

Da questi elementi si evince che Reggio Calabria procede spedita verso una nuova valorizzazione delle proprie ricchezze, anche attraverso nuovi servizi e iniziative. Non è un caso, infatti, che nel luglio 2009 sia stato inaugurato un grande tapis roulant nel centro cittadino, che tagli trasversalmente il corso principale, rendendo gli spostamenti più rapidi e agevoli, nonché conferendo un buon gusto contemporaneo (data l’ottima fattura estetica dell’opera) alla città dello Stretto.

Marco Papasidero

Marco Papasidero

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