
ACAB: il mondo dietro una visiera
Esasperazione, rabbia e intolleranza sono i sentimenti che sfociano, di continuo, in episodi di violenza tra forze dell’ordine e giovani rivoltosi. Il film ACAB, di Stefano Sollima, di recente uscita nelle sale italiane, offre un altro punto di vista, quello dietro il casco e la divisa di un poliziotto. (Foto cc Flickr valeriopirrera)
L’uscita, nelle sale italiane, del film ACAB, tratto dall’omonimo libro di Carlo Bonini, riapre confronti e discussioni, creando confusione e spiazzamento in un pubblico di spettatori, abituati a guardare i tanti episodi di violenza solo dalla parte dei rivoltosi, giustificandoli o colpevolizzandoli. A.C.A.B., acronimo di All Cops are Bastards (i poliziotti sono tutti bastardi), è lo slogan introdotto, negli anni Ottanta dai movimenti Skinhead inglesi e adottato, successivamente, da tifoserie, antagonisti e gruppi estremisti, quasi come uno stile di vita, un motto da rivolta di piazza e, ormai, richiamo universale alla guerriglia e alla violenza nelle città e negli stadi. Il film che racconta, con toni duri e violenti, le vicende di tre poliziotti che militano nel VII Nucleo di Polizia, un reparto speciale mobile in prima linea contro ultras, black bloc, No Tav e rivoltosi di ogni genere, permette di conoscere un altro punto di vista, quello dentro il casco di un poliziotto. Tanti gli episodi, tristemente noti, nella storia del nostro Paese, che non hanno bisogno di parole, ma di riflessione: i fatti del G8 di Genova, la morte dell’ispettore Filippo Raciti, il caso di Giovanna Reggiani, la morte del tifoso laziale Gabriele Sandri, le violente manifestazioni a Roma dello scorso 15 ottobre. Sono troppe, ormai, le occasioni in cui ci si ferma a dover constatare il degrado della società in cui viviamo. L’intolleranza, la mancanza di sani obiettivi, il forte razzismo, l’odio sociale e le profonde divisioni, quando arrivano a livelli estremi, esplodono in episodi di violenza inaudita, nelle nostre città, nelle nostre piazze e negli stadi, trascinando a fondo tutto e tutti. ACAB, quindi, interviene aspramente sui problemi sociali, trasferendo nel mondo della finzione una realtà che, troppo spesso, viene offuscata da falsi stereotipi.
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In occasione della presentazione del film, a Milano, giovani manifestanti hanno esposto due striscioni che recitavano “La vita non è un film” e “Se il mondo vi odia ci sarà un perché”: sono queste le reazioni, specchio del pensiero comune, che fanno capire come si guardi la realtà soltanto con i propri occhi, trascurando tutti i punti di vista, necessari, a volte, a fare la differenza. ACAB è un altro punto di vista, forse scomodo, ma necessario per affrontare e sconfiggere uno dei mali della nostra società: lo scontro tra forze dell’ordine e gioventù. Dietro la visiera e la divisa di un poliziotto si conoscono storie di uomini, spesso trascurate, ignorate, padri di famiglia, fratelli, figli, amici, che assorbono dosi di rabbia e vivono continue situazioni di stress fisico ed emotivo. Uomini normali troppo spesso biasimati, ritenuti incapaci di agire se non con prepotenza e sopraffazione, dimenticando i valori democratici della nostra società. Questa volta, non si vuole creare un ritratto negativo delle forze dell’ordine, ma soltanto scuotere il popolo con flash di una società malata, alla quale i poliziotti di ACAB appartengono.
Valentina Lauria