El malo viento
Quando abbiamo scelto il Perù e la Valle Sacra degli Incas, non potevamo certo immaginare che il nostro viaggio si sarebbe trasformato in un percorso che ci avrebbe reso più consapevoli della nostra esistenza e insegnato a comprendere meglio la terra su cui viviamo. (Foto: © Erino Poli)
È sera. Una sera di luglio. Una sera d’inverno tropicale. Nel loft non spira un alito di vento. L’aria è mite nonostante i 2871 metri di altitudine di Urumbamba. Comunque un maglioncino “non guasta”. In attesa della cena sorseggiamo un “Mate de coca” (infuso fatto con le foglie della pianta di coca) che ci aiuta a sopportare il mal d’altitudine. Al centro del patio un gruppo musicale andino intona le note di “El condor pasa”. L’atmosfera è gioiosa, anche se siamo tutti stanchi. La giornata è stata molto intensa: sveglia all’alba, attraversamento dell’Inca Trail sul mitico treno delle Ande, fino ad Aguas Calientes e poi pulmino fino a Machu Picchu, la città sacra degli Incas. Ancora dobbiamo leggere in noi tutte le sensazioni e tutte le emozioni che abbiamo provato. Un’esperienza destinata a lasciare il segno.
Tutt’a un tratto Melita, una compagna di viaggio, comincia a lamentare capogiri. La facciamo sedere su un divanetto, ma la situazione peggiora.
Melita sviene. Che fare? Acqua zuccherata, ossigeno, niente sembra avere effetto. L’ospedale più vicino dista parecchi chilometri. Abbiamo paura. Il marito è disperato. L’accompagnatore è in tilt. Viene avvisato un medico locale che arriva dopo un periodo che a noi sembra lunghissimo. Dice che forse ha problemi d’intestino e vuole somministrarle un purgante, ma non sembra convinto, né tantomeno è convincente. Misteriosamente appare una signora vestita con un costume andino. Qualcuno della direzione del loft l’ha chiamata a nostra insaputa. Pronuncia formule in lingua quechua, strofina tutto il corpo di Melita con un mazzo d’erbe che poi brucia nel caminetto. Le erbe producono un violento crepitio. Ripete l’operazione più volte. Ogni volta il crepitio è sempre più debole, finché cessa del tutto. Come d’incanto la ragazza riacquista il suo colorito normale, il polso riprende i suoi battiti regolari. Si alza in piedi e comincia a parlare come se niente fosse successo. È in quel momento che capiamo: abbiamo incontrato una Curandera.
Pile di pietre poste sulle rocce: indicano le preghiere che qualche viaggiatore ha dedicato agli deiLa diagnosi, sempre in lingua quechua, non ammette dubbi: la ragazza è stata colpita da “El malo viento”. Nell’escursione a Machu Picchu gli Apu: gli dei delle montagne, non l’hanno accettata e si sono vendicati. Con gli Apu non si scherza!
D’altronde non si scherza neppure con Wiracocha, Inti e le altre forze della natura che abitano il Perù. Così come non si dovrebbe scherzare con la vita e con l’ambiente in nessuna parte del mondo. La splendida civiltà Inca ha lasciato ovunque le sue tracce e la sua forza. Noi turisti occidentali, con la nostra superficialità e la nostra supponenza, rischiamo di fare la figura del conquistatore spagnolo Francisco Pizarro, degno seguace del suo concittadino Hermán Cortés, che saccheggiarono le ricchezze materiali del Sud America, senza comprendere minimamente la grandezza delle civiltà che andavano distruggendo. Percorriamo queste terre, scattando foto, mangiando arrosto di cuy (maialino d’india) e comprando maglioni di lana di alpaca.
Passiamo sulle civiltà andine senza capire il profondo segreto che racchiudono. Un viaggio nella Valle Sacra degli Incas è, prima di tutto, un viaggio mistico, è un percorso interiore di depurazione dal consumismo e dalla globalizzazione. Una pulizia da tutti i pensieri negativi e dalle depressioni. Una ricarica di energia dalla Terra, dalle pietre. Cusco, Ollantaytambo, Machu Picchu, sono luoghi da vivere, non da vedere. Ad Arequipa, nel Cañón del Colca, nella Valle dell’Urubamba o alla Cruz del Condor s’impara che tra noi e l’ambiente non vi è alcuna differenza. Gli Incas ci hanno insegnato a rispettare l’ambiente e a sviluppare gratitudine. Così prima di ogni azione si devono fare offerte alla Pachamama: la Grande Madre Terra. Prima di bere la chica (bevanda alcolica tratta dal mais) è sempre opportuno versarne un goccio come offerta alla Terra e la migliore foglia di coca va sempre donata. “Negli occhi dello sciamano”, il libro che la mia amica Giorgia mi ha regalato prima di partire, c’è scritto chiaramente: «Bisogna conoscere le leggi naturali che permettono di comprendere la terra e i principi che ne dirigono la vita. Solo conoscendo quei principi potrai capire il messaggio della natura che si trova nell’acqua, nel vento, nella luce, nei minerali, nelle piante, negli animali e nell’uomo stesso». (Hernàn Huarache Mamani, professore di lingua quechua all’Università di Arequipa).
Allora se accetteremo questa sfida, al ritorno dal nostro viaggio saremo più ricchi e avremo conquistato un piccolo tesoro.
Erino Poli