Valsassina: forse non tutti sanno che…
Quelli che conoscono la Valsassina la nominano per le piste da sci e i percorsi che offre agli appassionati di escursionismo ed alpinismo. Alcuni ne apprezzano la “Sagra delle Sagre”, importante manifestazione estiva. Ma la Valsassina è molto di più. (Foto: © Stefania Zabrak)
Quando si parla di Valtellina non bisogna aggiungere dettagli, tutti la conoscono. Ma il nome Valsassina spesso non ha il medesimo riscontro, non godendo, questo territorio, della stessa fama. Appassionati di sci o di escursionismo alpino conoscono le piste dei Piani di Bobbio o i percorsi sulla Grigna, la montagna che domina la Valle. Qualche lombardo è a conoscenza della “Sagra delle Sagre”, una sorta di fiera dell’artigianato valsassinese che si svolge ad agosto. Ma questa Valle non è ricca solo di sentieri e percorsi sciistici, è anche intrisa di storia, leggende e curiosità.
Parto da Milano e affronto con coraggio, visti i numerosi cantieri, la SS 36 in direzione Lecco. Una volta raggiunta la città “manzoniana”, seguo le indicazioni per la Valsassina e imbocco la diramazione che taglia i monti con una serie di gallerie. È passata circa un’ora dalla partenza: uscita dall’ultimo tunnel, apro il finestrino e prendo una boccata d’aria. I polmoni si riempiono velocemente di un’aria leggera, ossigenata e fresca (rispetto a Milano il termometro segna sei gradi in meno). Non è ben nota la provenienza di quest’aria tanto importante per quella che è l’industria trainante della Valle: quella casearia. Nelle numerose grotte scavate nelle montagne durante i secoli (per l’estrazione del ferro) stagionano, proprio grazie alla temperatura costante mantenuta da un venticello “miracoloso”, il Taleggio, il Quartirolo, la Robiola e i Caprini.
In Valsassina vengono prodotti alcuni dei formaggi più famosi e tipici d’Italia. L’aria salutare della zona era nota anche ad Alessandro Manzoni. È in un paese di questa Valle, infatti, che lo scrittore, nei suoi “Promessi Sposi”, fa rifugiare Agnese, la madre di Lucia, per sfuggire alla peste. Nel XXXVII capitolo del romanzo, Don Abbondio segnala a Renzo che la donna: «È andata a stare in Valsassina, da que’ suoi parenti a Pasturo, sapete bene; che là dicono che la peste non faccia il diavolo come qui». Non è facile trovare testimonianze di questa presenza. Vago per le viuzze del paese senza trovare indicazioni. Poi, finalmente, il cartello “casa di Agnese”. Seguo la freccia e mi incammino lungo una stradina che curva a sinistra, e poi il nulla. Nessun cartello, nessuna targa. Mi sento sperduta e disorientata. Ed ecco che capisco che la scarsa fama della zona è dovuta a una insufficiente valorizzazione. Finalmente un passante mi istruisce sull’ubicazione dell’abitazione. È abitata ed è stata ristrutturata, perdendo l’aspetto tipico che invece, fortunatamente, hanno altre case del paese. Pasturo, però, ha un altro legame con il mondo letterario. In una splendida villa settecentesca, nei primi anni del novecento, soggiornò la poetessa Antonia Pozzi.
Villa De Vecchi. Sullo sfondo la frana di CortenovaL’indole sensibile della giovane milanese trovava conforto in questo luogo grazie al contatto con la natura. Molte sono le composizioni dedicate a questi posti. Come darle torto? Le montagne sembrano vegliare e proteggere il senso di pace che i colori e i profumi dei boschi circostanti infondono. L’animo tumultuoso della poetessa la portò ad una scomparsa prematura. Ed ora riposa nei luoghi che ha amato.
Proseguo il mio viaggio. La strada principale si snoda lungo la Valle seguendo il percorso del Pioverna, il torrente che attraversa il territorio. L’obiettivo del mio percorso è il paese di Cortenova, reso celebre da una frana che nel 2002 distrusse numerose abitazioni e fabbriche. Quello che cerco io, però, è stato risparmiato dalla furia della natura ma non dall’incuria degli uomini: Villa De Vecchi.
Il mio interesse è stato svegliato da un gruppo, nato su Facebook, che ha l’intento di celebrare il fascino di questa struttura e di trovare soluzioni per “salvare” la dimora dall’azione dell’abbandono, del tempo e dei vandali. La villa ha anche una fama sinistra: chiamata “Villa delle Streghe”, è protagonista di numerose leggende su morti misteriose, che mi affascinano, anche se io vedo la casa più che altro come una testimone della storia del Risorgimento. Costruita nel 1856 da Felice De Vecchi, patriota nominato Capo della Guardia Nazionale, nel settembre 1860 fu teatro dei festeggiamenti della vittoria sugli austriaci.
Per cacciare la nostalgia concludo il viaggio in un ristorante con un piatto tipico: la polenta taragna. Grano saraceno e formaggi valsassinesi, una forma “d’arte” che non conosce abbandono.
Stefania Zabrak