Crisi Economica. Come nasce il bisogno di porre limiti alla libertà

A partire dal 2008, la nostra società sta attraversando la più grande crisi che il sistema economico capitalista abbia mai sperimentato, una crisi per certi versi più ampia di quella verificatasi nel quadriennio 1929-32. Quali sono le vere origini di questo fenomeno?

Quando si pensa all’evento cardine che ha dato inizio all’attuale crisi economica, l’immaginario comune si sposta al 15 settembre 2008, data della dichiarazione di fallimento del colosso finanziario statunitense Lehman Brothers. Se da un lato non si può ignorare l’effetto domino causato dal più grande fallimento per bancarotta della storia degli Stati Uniti, sarebbe davvero miope limitare la spiegazione di un fenomeno così vasto e profondo ad un’analisi tecnica degli errori e dei raggiri commessi da un singolo istituto. Né sarebbe d’aiuto estendere quest’analisi ad un numero più vasto di soggetti: lasciamo l’arduo compito ai tribunali fallimentari.
Il lato peggiore dell’attuale crisi, infatti, non è di natura tecnica; non sta nella sua capacità di diffusione a livello globale e nemmeno nella profondità dei suoi effetti; l’aspetto più allarmante risiede nell’apparente incapacità dei governi di tutto il mondo di farvi fronte, tanto che viene da chiedersi se questa non sia, più che una crisi economica, una vera e propria crisi di civiltà.
Tutti noi ricordiamo le promesse di nuove regole per il sistema finanziario, ma a distanza di tre anni nulla si è mosso. Basilea III (erede di Basilea II, il più importante corpus di regole per il sistema bancario occidentale) è ancora ai nastri di partenza e comunque non incide su una speculazione che nel frattempo ha ripreso vigore, spostandosi dal settore immobiliare (da cui, attraverso i mutui subprime statunitensi, tutto ebbe inizio) ad altri due settori considerati finora sicuri: i titoli di stato e le commodities (oro, materie prime, ecc.). Il fulcro della questione sta proprio in questa capacità dell’ondata speculativa attualmente in corso di causare un cortocircuito del sistema capitalistico, andando a colpire e a destabilizzare proprio quei settori finanziari (immobiliare, bond e commodities appunto) considerati fino ad oggi (quasi) privi di rischi.
Ma questi sono in fondo soltanto gli effetti di un fenomeno che ha radici più profonde, che ha il nome di deregulation e che consiste nell’eliminazione progressiva di tutte le regole che limitano – secondo gli entusiasti o controllano il mondo degli affari. Cominciata negli anni ’70 in nome della libertà d’impresa e della concorrenza sui mercati, la deregulation estesa al settore finanziario ha minato le fondamenta stesse del sistema capitalistico occidentale. Futures, Options, derivati di tutte le forme e dimensioni (più o meno leciti) hanno trasformato le Borse da strumento di incontro tra investitori e finanziatori a piattaforma di “scommesse” online, in cui non si misura più la solidità delle imprese in termini di anni, ma si punta sulla variazione in tempo reale del valore dei titoli in cerca di facili guadagni.
In nome dell’autonomia contrattuale, abbiamo costruito un sistema finanziario che, invece di svolgere il suo ruolo di appoggio all’economia reale, ne è diventato il parassita. Un caro prezzo da pagare per una libertà da cui sono davvero troppo pochi coloro che traggono beneficio.

Alessandro Turco

Foto: http://www.flickr.com/photos/50568517@N00/4561795660/

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