Contemporaneo Goya
Uno sguardo alle opere in mostra a Palazzo reale, Milano, in una mostra tematica che possa anche far riflettere sugli orrori, ed errori, tipicamente umani.
“Goya e il mondo moderno“. É così che si intitola la mostra che si terrà, fino al 27 giugno 2010, a Palazzo Reale a Milano.
Essa affronta 5 tematiche: i ritratti, la vita quotidiana, il grottesco, la violenza, il grido.
Andando con ordine, si parte dai ritratti, quei ritratti che hanno solo il tempo come cornice, che sfuggono alle date che hanno impresse sopra e che appaiono più contemporanei di ciò che potremmo trovare oggi in molte gallerie.
La luce è puntata direttamente sul viso dei protagonisti ed i loro difetti sono impietosamente messi a nudo: sono umani. Sono persone, non gli stereotipi di un’epoca.
Accompagnano Francisco Goya, tra gli altri, David e Picasso.
“La lettera si impara col sangue” (1780-85) è uno dei titoli delle opere della sezione “La vita di tutti i giorni”. La luce della biacca è accecante e valorizza questa serie di personaggi popolari nella loro quotidianità.
Del “Grottesco” fanno parte alcuna delle 80 stampe della serie “I disastri della guerra” – gli altri sono nella sezione dedicata alla violenza – e alcune delle stampe dei “Disparates”.
I protagonisti vivono nell’incubo, nel disordine: un’enorme fiera ingurgita uomini mentre da un’altra parte un grosso avvoltoio viene inforcato senza pietà.
É satira nera e cruda quella che l’artista fa del mondo moderno ed è la stessa satira che verrà in seguito ripresa, seppur in maniera differente, da artisti come Max Klinger e Rainer.
Nella “Violenza”, le teste mozzate, le persone prese a bastonate, gli impiccati, i volti truci, gli individui che vomitano sui cadaveri, altro non fanno che esaltare la tragedia. Una tragedia che si consuma sulla crudeltà umana, in una guerra che, eppure, pare non avere nulla di umano.
Il popolino è feroce ma in qualche modo estremamente lucido.
La desolazione delle opere di Goya è la stessa delle “Madri” di Picasso, la stessa dello “Studio per la costruzione leggera di fagioli bolliti” di Dalì.
É lo stesso oscuro orrore delle acqueforti di Otto dix, lo stesso orrore silenzioso di Zoran Music e la stessa reale crudeltà di Käthe Kollwitz.
Ogni creazione, in questa sezione, pare volerci ricordare che siamo tutti carne al macello, come è forse chiaro in “Tre teste di montoni” di Picasso, quadro che un po’ ricorda, per i colori, l’artista Francis Bacon, uno dei protagonisti dell’ultima parte dell’esposizione, “Il grido”.
“L’espressione più intensa e lacerante della soggettività“, come recita il testo introduttivo, è messa in scena dal Cristo, impotente ed arreso, di Goya, sia nel “Cristo nel bosco degli ulivi” che nell’incisione “Tristi presentimenti di ciò che accadrà”.
Antonio Saura fa uscire i suoi personaggi astratti dalla tela per comunicare l’orrore mentre, infine, “Tre studi per il ritratto di Peter Beard” muti infliggono allo spettatore un’angoscia e una violenza deformate.
Katia Bonini