Chi dice “maschio” dice danno
Secondo uno studio pubblicato sul Philosophical Transactions of the Royal Society B, la causa di guerre e violenze, nella storia dell’umanità, è da imputare al testosterone e, di conseguenza, alla spinta sessuale maschile. (Foto: Flickr cc polinasergeeva)
Un noto psicologo evoluzionista della Vrije Universitat di Amsterdam, collaboratore ad Oxford, ha effettuato uno studio sul ruolo della libido maschile nei comportamenti sociali. La ricerca è stata pubblicata sul Philosophical Transactions of the Royal Society B ed evidenzia la correlazione tra testosterone e violenza.
Il testosterone è un ormone steroideo del gruppo androgeno ed è prodotto nei testicoli dalle cellule di Leydig. Nell’uomo è responsabile dello sviluppo dell’apparato genitale, dei caratteri sessuali secondari (barba, distribuzione dei peli, tono muscolare, timbro della voce), del desiderio, della fertilità e, come abbiamo visto, del comportamento.
La correlazione tra ormone maschile e aggressività era già stata oggetto di numerose ricerche, tra cui quelle condotte da James Dabbs (1937-2004), psicologo sociale e docente di Psicologia della Georgia State University. Dabbs effettuò uno studio su 4462 soldati e dimostrò che la ferocia in battaglia di alcuni di essi, misurata in base all’accanimento e alla potenza dei colpi inferti all’avversario, era direttamente proporzionale al livello di testosterone. Sempre Dabbs dimostrò, in studi effettuati dal 1990 al 2002, che transessuali e uomini con cancro alla prostata che, per motivi diversi, avevano ricevuto trattamento con antiandrogeni ed estrogeni, erano diventati meno aggressivi nel giro di pochi mesi.
Insomma: gli individui di sesso maschile mostrano atteggiamenti più violenti verso l’esterno e gli estranei, rispetto agli individui di sesso femminile, che sono invece dotati di un atteggiamento più pacifico e propenso alla soluzione non violenta dei conflitti. Queste caratteristiche non sono di esclusivo appannaggio della razza umana. In diverse specie che conducono una vita di branco, impostata su gruppi sociali estesi, si possono notare queste differenze comportamentali tra maschio e femmina. Tra questi ci sono i primati che, in quanto “antichi parenti” dell’uomo, hanno strutture sociali e comportamentali simili a quelle dei primi ominidi. Gli studi su di loro possono quindi spiegare, in termini evolutivi, il ruolo e l’importanza dell’aggressività maschile.
Secondo i modelli tratti dallo studio di queste scimmie si presume che il branco di ominidi fosse strutturato ad “anelli concentrici”: al centro c’era il gruppo dei neonati, subito dopo quello delle femmine destinate ad accudire i piccoli, poi quello delle femmine fertili e dei maschi dominanti e, per ultimo, quello dei giovani maschi. La collocazione esterna di questi ultimi ha assunto, nel tempo, una funzione protettiva verso il branco favorendo una specializzazione del ruolo difensivo e determinando, di conseguenza, una maggiore diffidenza ed aggressività verso l’estraneo.
Gli scopi originari dell’esistenza dell’aggressività maschile oggi non sussistono più. La violenza degli uomini crea invece disagi sociali più o meno gravi che vanno dalle risse da stadio alla guerra. Gli ultimi studi, quindi, offrono spunti di riflessione per il futuro.
Stefania Zabrak