Appuntamento in bottega nella Firenze Diladdarno!

Un antico mestiere, come quello del calzolaio, si trasforma in un affascinante itinerario
nell’arte e nel tempo, attraverso le mani, il volto, la testimonianza di chi, come Leonardo, quel mestiere di suole e di cuoio ancora lo svolge e ha imparato ad amarlo raccontandolo.
Un viaggio nella creatività e nell’invenzione che muta il gusto, tra il composito vociare delle botteghe dell’Oltrarno fiorentino.

Cosa c’è di più tradizionale di una tradizione che si tramanda, di una “botteguccia mignon” dal gusto vagamente

Pergamena con informazioni

francese con la sua dolce vetrina ravvivata da tendine color viola lavanda ed un cartello con scritto in corsivo “Calzolaio”?

Benvenuti nel mondo di Leonardo Tozzi, un piccolo cosmo fatto di scarpe, lembi di pelle e buffi utensili dallo sconosciuto nome.
Prima impressione? Un caos ordinato…strano ma vero!
Una specie di attaccapanni ornato di scarpe e stivali salta subito all’occhio…quasi come fossero delle sculture contemporanee.

Una domanda sorge spontanea: “Che mondo sarebbe senza scarpe?” la difficoltà nel trovar una risposta ci fa immediatamente render conto di quanto sia antica la storia di una scarpa ma soprattutto di quanto sia affascinante il mestiere del calzolaio.

Alcuni attrezzi del calzolaio

 Uno scenario del tempo che fu tra ciottolati, botteghe surreali e suggestioni lontane… un museo a cielo aperto dove poter passeggiare nella storia.
Dove le insegne… ops, perché non hanno le insegne queste porte di vetro consumate dal tempo?
A dire la verità, ci si riflette a malapena, quella signora al cellulare, che si guarda e aggiusta il ciuffo. “Diladdarno” … Voilà! Benvenue Madames et Messieurs dans l’Oltrarnò (a sud dell’Arno).

Altri attrezzi del calzolaio

È la Firenze becera un po’ chic e un po’ di bottega, artistica però.
Leonardo fa parte di quest’ ultima; nonostante la sua giovane età, colpisce la passione con  cui racconta la sua storia, fatta di sacrificio, lunghe gavette, volontà e determinazione.
“Puoi capire una persona dalla scarpa che indossa”, ci svela con tono sarcastico.
Ha ragione, come non averci mai fatto caso prima.
Dai suoi occhi fieri emerge come l’arte del calzolaio, oltre che un mestiere in via d’estinzione, sia anche un’autentica eccellenza “Made in Florence”.
“Si contano ormai sulla punta delle dita gli artigiani che creano scarpe su misura e, per lo più, sono tutti ultrasettantenni” spiega mentre si diletta a costruire una elegante stringata da uomo, con la punta sfilata.
“Certo una bella scarpa” aggiunge “non ha senso se non messa sotto un bell’abito cucito su misura fresco di sartoria”.
Come non dargli torto in questo mondo fatto solo di lustrini e grandi marche…
Da lui puoi acquistare ma la busta firmata non te la dà, ha lavorato il calzolaio e i suoi capolavori costano pure tanto!

Il calzolaio al lavoro

Firenze ti aveva fatto credere che le scintillanti scarpe nella vetrina della boutique più glamour fossero uscite così “belle e buone” quasi  per miracolo.
Ma il calzolaio del “diladdarno” è rintanato nel suo sgabuzzino che profuma di antico, tra odor di cuoio e martellino, chiodi e pelli, fabbrica e forgia dietro le quinte.�
Una immagine poetica fatta ad arte per i turisti… per attirarli e poi spennarli? Sbagliato!
E invece lavorano per davvero per la gente del posto questi furbacchioni maniscalchi.

Ponte Vecchio, ultima fermata per turisti: dopo si fa sul serio. Destinazione onirica, immersi tra via de’ Serragli e via Romana senza tralasciar Borgo San Frediano e Santo Spirito.
“Le botteghe servono sì a vendere, ma più che altro a riparare”.
La popolazione cammina stretta sull’avaro marciapiede, strade lisce e vecchie biciclette ammassate, tombini sconnessi che fanno rumore sotto le ruote di scooter che sorpassano al millimetro l’autobus in ripartenza, con fumata nera e densa refrigerante.
Aperto-open, certo, entrate turisti, l’insegna non c’è ma le statuette di marmo quanto son belle mescolate ai quadretti e alle cornici.

Firenze – A sud dell’Arno (scorcio)

Ma allora è vero che Firenze mantiene vivi il ciabattino, l’orafo, il tappezziere, il corniciaio e il macellaio doc. Anche perché, come si può chiamare l’ alimentari di un omone grosso doppio mento e grembiule bianco all’incrocio tra via de’Serragli e la chiesa? Materassi ovviamente, Alimentari Materassi. Oggi ha la ribollita, si può assaggiare, c’è una pentola e una scodella lì accanto allo scaffale.

A sud dell’Arno ci si arriva a volte provenendo dal nord dell’Arno, vien quasi voglia di fare un paragone tra nord e sud.
Questa Rive Gauche di Firenze “creata ad arte” mantiene le antiche corporazioni che della città fecero fama, bisogna entrare nei cortili interni, ci sono magnolie e cancelli, laboratori bui, “produzione propria”, tende, lampadari, cornici fatte in casa come il gelato; e ci lavorano donne e uomini insieme con sguardo acuto e mano lesta.
Non è mica un granché questo paesaggio urbano fatto di cassonetti, vie strette e finestre sgarrupate, biciclette accatastate. E poi che discorsi sono questi della Firenze riva di sinistra, senza Duomo e Signoria. Eppure l’Arno è marrone anche qui, e il ponte Vecchio più che mai vecchio, anzi, c’è pure la legatoria antica con la mamma che ha portato la bambina a foderare il diario e, di fronte, l’artigiano-elettrodomestico sommerso da apparecchi radiofonici.
Si è fatto tardi, le foglie gialle dei tigli si appiccicano ai marciapiedi umidi, ma non chiude bottega Leonardo in quel di Via Romana, nel bel mezzo di Piazza della Calza.

                                                                                               Zaira Leone & Lorenzo Pini

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