Amy Winehouse: a tre mesi dalla morte è già mito

Un grande talento dissipato in 27 anni di vita difficile. Amore, tenerezza e rabbia. Il dubbio sulle cause della sua morte s’infittisce e il processo culturale del mito si è messo in moto. Gadget di dubbio gusto e speculazioni economiche, ma perché la nostra società ha ancora bisogno di creare miti?

22 luglio 2011, venerdì sera: Amy è avvistata in un bar dove compra cocaina, eroina, ecstasy e ketamina. Sabato 23 luglio: viene trovata senza vita nella sua casa londinese di Camden Town. Subito il web impazzisce. Si grida la notizia: la star maledetta che ha sfidato la morte è morta. Riappare la maledizione dei 27 anni, si rievocano i fantasmi di Brian Jones, Jimi Hendrix, Janis Joplin, Jim Morrison. Si scoprono contenuti nascosti in Rehab e Back to Black. Fiori, messaggi, affetto, dolore e condanna piovono su di lei da tutto il mondo. “Se l’è cercata”, molti dicono. “Era solo questione di tempo” dichiara la mamma infermiera; “ha lasciato un grande vuoto”, confessa il padre tassista, mentre rientra da New York, dove ha annullato un suo concerto al Blue Note. Un mese dopo si apprende che non c’erano tracce né di alcool né di droga nel suo corpo. Su di lei si scrive di tutto, anche il padre ha annunciato una biografia. Quando è finita la sua vita è iniziata la sua leggenda. Si commercializzano gadget: vestiti per bebè, orsacchiotti, custodie per iPod, cappottini per cani, felpe e magliette con il nome della star in ebraico.

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Ora, dopo il rito ebraico, dopo che il suo corpo è stato cremato e le ceneri, mischiate a quelle della amata nonna, disperse nel vento, possiamo forse riflettere con calma. In questa nostra società attraversata da una grande crisi economica e caratterizzata da valori incerti, tutti abbiamo un disperato bisogno di miti. Ci aiutano ad accettare la quotidianità e a distrarci dalle nostre responsabilità. Proprio in questi giorni è mancato Steve Jobs e anche per lui la fabbrica del mito si è messa prontamente in moto. Amy disprezzava il mondo, Steve lo amava, ma ambedue, in maniera diversa, hanno sfidato la morte. James Dean, Marilyn Monroe, Bob Marley, Michael Jackson: un elenco che potrebbe essere noiosamente lungo; di miti il nostro mondo ne ha fabbricati veramente molti. Ma se da un lato è facile amare e idolatrare il fondatore della Apple, umano, creatore di un nuovo mondo e costruttore di una tecnologia sensibile, meno facile è accettare il rifiuto della vita di Amy Winehouse, il suo disprezzo del corpo e la distruzione da lei operata del suo talento. Amy, con una vita costellata da difficoltà e da trasgressioni, sembrava da subito destinata a diventare mito. La sua storia ci riporta a Kerouac, a Ginsberg, a Bukowski, a Burroughs, a una generazione ‘battuta’, che ormai appariva definitivamente superata, senza più alcun fascino sui giovani.
Come scrive Marcello Massenzio, «L’uomo è una creatura che vive in una dimensione ordinaria e come tale non può vivere sempre nella dimensione dello straordinario. Il tempo del mito a un certo punto deve comunque finire proprio perché il tempo dell’uomo possa cominciare».
Allora possiamo forse semplicemente rispettare la solitudine e la profonda sofferenza di questa infelice ragazza, mettere nel lettore un suo CD, sul fornello della cucina un infuso e sognare, cullati dalla sua voce e dalla sua forza espressiva, ringraziando di averla conosciuta.

Erino Poli

Foto: Sito ufficiale cantante

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