Verso l’oceano
L’idea era di passare un week-end a Barcellona, io e i miei amici. Abbiamo pensato poi di andarci in auto e magari restare qualche giorno in più e così visitare anche Valencia. Poi abbiamo aggiunto al nostro viaggio anche Madrid… Siamo finiti in camper, pronti a fare il giro completo della penisola iberica con destinazione Cabo da Roca. (Foto 1, 2, 5: Francesco Longo; foto 3: Flickr cc jairo_abud; foto 4: Flickr cc ceiling; foto 6: commons.wikimedia.org)
Siamo partiti da Milano attorno alle sette del pomeriggio di un venerdì di fine aprile. La pioggia incessante ci ha accompagnato fino a Marsiglia, dove la stanchezza e un violento acquazzone ci hanno fatto fermare in un autogrill lungo l’autostrada.
La mattina presto ci siamo alzati e dopo solo nemmeno un giorno di viaggio ci sentivamo già padroni del mondo: liberi, con una destinazione nella testa, l’oceano, ma senza limitazioni e senza un percorso e una durata predefinita.
Avevamo deciso di puntare a Cabo da Roca, il punto più a ovest dell’Europa continentale, e nel farlo ci siamo portati dietro solo noi stessi e delle mappe della Spagna e del Portogallo, niente cellulari né navigatori satellitari. Abbiamo pensato che in questo modo sarebbe stato più vero e forse anche più divertente.
Dopo Marsiglia il nostro camper si avvicinava sempre di più a Barcellona, dallo stereo uscivano le bellissime melodie degli Eagles, dei Led Zeppelin e di Manà e, all’altezza di Girona, abbiamo pensato di uscire dall’autostrada per risparmiare i soldi del casello e imboccare la strada statale NII.
Nei dintorni di Barcellona ci siamo fermati in un camping lungo la costa catalana, in un piccolo paesino di mare. Un camping davvero misero e desolato. Il prezzo basso era dovuto, credo, al fatto che i bagni e le docce fossero praticamente all’aperto e che le colonnine per l’elettricità fossero delle potenziali trappole mortali per via dei fili scoperti. Ma eravamo solo di passaggio, per cui andava bene così.
Miguel, il proprietario del camping, era da solo; eravamo gli unici clienti al momento e così, dopo avergli chiesto informazioni di vario genere, ci siamo trovati seduti al tavolino del piccolo bar a mangiare insieme a lui. Ci ha raccontato tante cose sul posto e ci ha parlato di com’è vivere lì, non prima di averci fatto decine di domande su di noi e sull’Italia.
Miguel era diventato il nostro mito: possedeva e viveva in un camping praticamente sulla spiaggia da dove poteva vedere tutti i giorni il sole sorgere dal mare e cenare con lo spettacolo della luna scintillante.
In noi c’era una sincera ammirazione e invidia nei suoi confronti. Rimanemmo però stupiti quando ci confessò di non essere realmente felice e che avrebbe voluto cambiare vita: avrebbe voluto vivere in maniera meno tranquilla, magari in città, con le sue comodità. Praticamente cercava quello da cui noi stavamo scappando. Mi sono fatto tante domande: è forse vero che si desidera sempre quello che non si ha? O forse è vero che la felicità è data da noi stessi e non dal posto in cui si vive. Forse è vero che fuggire non ha mai senso…
Ci salutò con la sua promessa (fatta a degli emeriti sconosciuti) che avrebbe cambiato le cose in meglio.
Dopo qualche anno ho scoperto che ha rinnovato il camping fino a farlo diventare un cinque stelle. Spero davvero che in quel cambiamento abbia trovato quello che cercava.
Il pomeriggio seguente abbiamo imboccato La autovia del nordeste, in direzione Madrid. Una strada lunga seicento chilometri che sembra sia stata costruita nel nulla. Solo poche aree di sosta raggiungibili soltanto uscendo dall’autostrada.
Essere in viaggio in camper ci dava la possibilità di mangiare a qualsiasi ora e dormire in qualsiasi momento. Nell’immensità dell’entroterra spagnolo abbiamo avuto modo di dormire non solo nei campeggi, ma anche lungo la strada, in aree di sosta, in punti panoramici meravigliosi.
Arrivati nelle vicinanze della capitale, ci siamo fermati in un campeggio a Getafe, una piccola cittadina a pochi chilometri da Madrid.
Da Getafe siamo ripartiti verso il Portogallo: seicento chilometri di strada panoramica a metà della quale ci siamo persi e abbiamo guidato per circa tre ore nella direzione sbagliata. Quanti paesi sconosciuti dalle mappe abbiamo incontrato prima di ritrovare la strada!
Arrivati a Porto, il nostro primo pensiero è stato quello di andare finalmente ad osservare l’oceano. Per noi era la prima volta. Pensare che oltre l’orizzonte non ci fosse niente per migliaia di chilometri era una cosa che mi faceva venire la pelle d’oca!
L’ansia di ripartire ci ha messo subito in marcia e arrivati nei dintorni di Coimbra, in serata, siamo usciti dall’autostrada per cercare un posto dove mangiare e siamo finiti in una zona davvero poco raccomandabile. Un quartiere pieno di case vecchie e diroccate dove non c’era nessuno per le strade. Una fioca luce illuminava una porta di un ristorante. Siamo entrati un po’ dubbiosi e timorosi e ne siamo usciti entusiasti. Era una trattoria vecchia e un po’ sporca, piena di fumo di sigaretta e di puzza di fritto. Il proprietario davvero simpatico e gentile ci ha trattati come dei signori, abbiamo cenato a base di carne, patate e fagioli, e bevuto il vino che il proprietario produceva in proprio. Abbiamo pagato una cifra ridicola e alla fine ha insistito nel regalarci qualche bottiglia del suo vino, in cambio, però, di una foto insieme. Davvero uno scambio equo!
Ricardo, così si chiamava il proprietario, era davvero entusiasta di averci a cena. Avevamo spezzato la sua “felice monotonia” di tutti i giorni. Nella sua trattoria aveva sempre le stesse persone con le quali aveva ormai stretto amicizia: operai, muratori e pensionati erano diventati amici-clienti. Mentre mangiavamo, infatti, si concedeva una pausa sedendosi ai vari tavoli con i clienti, bevendo vino e ridendo in continuazione con ciascuno di loro.
Siamo ritornati in autostrada per riposare ed essere a Lisbona il mattino seguente. Così come a Barcellona, abbiamo optato per un campeggio vicino alla città, a Cascais, dove abbiamo preso i mezzi per visitare Lisbona. Questa è stata la città che mi ha affascinato maggiormente, con i suoi edifici e i suoi monumenti, il maestoso ponte 25 de abril e la sua gente cordiale ed entusiasta.
Da Cascais, poi, abbiamo preso il camper e siamo andati finalmente a Cabo da Roca. Una stradina davvero stretta per un mezzo come il nostro, ma con una vista mozzafiato sulla costa portoghese. Arrivati finalmente a destinazione, ci siamo precipitati a fare la nostra foto di rito insieme al monumento che cita Luís de Camões: “Aqui… onde a terra se acaba… e o mar começa”.
Eravamo nel punto più a ovest d’Europa, davanti a noi l’oceano Atlantico ci divideva dal continente americano. Il forte vento ci soffiava addosso e, osservando la costa portoghese, non riuscivo a pensare a nient’altro se non alla sua bellezza.
Siamo rimasti lì senza far nulla per ore, fino a sera, come se non volessimo separarcene. Forse essere arrivati dove volevamo ci aveva fatto capire che la nostra destinazione ora era diventata la nostra casa.
Ci aspettavano ora seicento chilometri per arrivare a Gibilterra. Abbiamo imboccato la E01 in direzione Faro in una strada davvero lenta e dissestata.
Siamo arrivati a La Linea de la Concepciòn in serata e ci siamo fermati in un’area di sosta proprio di fronte alla spiaggia. Nell’area di sosta c’era solo un altro camper, per cui abbiamo parcheggiato nella posizione giusta per avere la finestra che dava direttamente sul mare. In quel momento mi sono sentito il più ricco del mondo: mangiare con i miei amici e avere lo spettacolo del mare alla mia sinistra.
Il mattino siamo entrati in territorio inglese, diretti verso Punta Europa con un piccolo bus turistico.
Gibilterra è fantastica, piccola e ben curata, con la particolarità di avere la pista d’atterraggio per gli aerei in comune con le auto.
Il tempo non era dei migliori ma comunque si vedeva bene la costa africana. Oltre questo, la costa frastagliata che avevamo davanti agli occhi non aveva niente da invidiare a quella vista nei dintorni di Lisbona.
Ci siamo resi conto di essere in ritardo sulla tabella di marcia e che non avremmo potuto fare altre soste intermedie prima di Valencia, per cui in serata siamo ripartiti per gli ottocento chilometri che ci dividevano dalla meta successiva.
A Valencia abbiamo parcheggiato a Pinedo e siamo arrivati in città con i mezzi pubblici. Siamo stati nel centro per tutto il giorno, fra il quartiere El Carmen e la Plaza del Ayuntamiento. In serata, per puro caso, siamo passati vicino allo stadio Mestalla e abbiamo notato un gran assembramento di gente:abbiamo finito la serata festeggiando la vittoria del Valencia in semifinale di coppa Uefa fino all’alba, tra bar e piazze affollate.
L’ultima tappa, così, era andata, Barcellona bis fu comunque bella, ma ormai eravamo di ritorno verso casa. Ci siamo dati il cambio alla guida e dopo seimila chilometri e dieci giorni di viaggio siamo arrivati alle nostre case.
Forse non avremo visto niente di tutto quello che potevamo vedere, ma abbiamo visto molte altre cose che di solito non si notano o alle quali più semplicemente, forse, non facciamo caso. Abbiamo viaggiato e abbiamo avuto modo di parlare, di pensare e di guidare attraverso lunghe strade infinite, piccole e strette stradine di campagna e paesi che sulle mappe non compaiono, per incontrare gente di ogni tipo e poter scambiare con loro anche solo un saluto.
Ci sono decine di maniere di visitare un Paese, tutte valide e interessanti. Questo è stato il mio modo.
Francesco Longo