Un misterioso volto tra le nuvole
Dopo più di sette secoli è stato notato un volto dalle sembianze demoniache negli affreschi di Assisi. Il primato di aver rappresentato una nube dalla forma umana spetterebbe ora a Giotto. Ma c’è veramente un volto rappresentato in quelle nuvole?
La scena nella quale la studiosa ha riconosciuto il “demone”È così sorprendente notare che, in uno dei più noti cicli di affreschi mai dipinti, le Storie di San Francesco nella basilica superiore ad Assisi, sia occultato, tra le forme di una nuvola, un profilo dalle possibili sembianze antropomorfe. Questo particolare pare essere sfuggito per quasi ottocento anni non soltanto a chi ha ammirato gli affreschi dal vivo, ma soprattutto a quanti hanno potuto osservarli nelle numerosissime monografie illustrate che trattano del ciclo assisiate scena per scena e con ingrandimenti delle figure.
Ad accorgersene è stata la nota medievista Chiara Frugoni, e la notizia è stata subito accolta dal sito del Sacro Convento. La studiosa, in un’intervista al Tg1, in merito a questo presunta rappresentazione, si esprime così: «penso che [quel volto] abbia un significato; esso rappresenterebbe uno di quei demoni che stanno nelle nuvole e che nel medioevo si pensava ostacolassero la salita al cielo delle anime». E per settimane molti giornali, compresi i maggiori quotidiani nazionali, hanno riferito concordemente, in base a quanto affermato dalla studiosa, che tra le figure dipinte nell’episodio ventesimo, rappresentante la morte di San Francesco, ve ne sia effettivamente anche una che rappresenti proprio le fattezze di un demone. Dell’argomento, la Frugoni ne ha discusso in particolare all’interno della sua conferenza su “Il crocifisso di Giotto a Rimini e il francescanesimo” (che fa parte del ciclo di conferenze “I maestri e il tempo” organizzate dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini), tenutasi lo scorso 25 novembre nel Salone di Palazzo Buonadrata e, più ampiamente, nel suo ultimo saggio “Storia di Chiara e Francesco” (Einaudi 2011).
Il dibattito si collega direttamente a una questione assai più ampia e complessa, che, specie in passato, ha diviso gli studiosi. Si tratta dell’insoluto problema intorno alla paternità degli affreschi francescani, nei quali vi è accertata la collaborazione di numerosi aiuti, anche nella realizzazione di scene salienti; ciò ridimensionerebbe parzialmente il ruolo di Giotto nella realizzazione del ciclo francescano. Sull’identificazione di questi collaboratori non vi è tuttora accordo.
Neanche per ciò che riguarda strettamente l’identificazione del soggetto tra le nubi sembra esservi accordo: Vittorio Sgarbi, in un articolo apparso su “Gente” dello scorso novembre, con il suo stile laconico ma diretto e chiaro, afferma con risolutezza che in quegli affreschi non vi è nessun demone, perché secondo il suo punto di vista non c’è ragione logica del fatto che una raffigurazione simile comparisse in quella sezione del dipinto. Infine è possibile – sempre secondo Sgarbi – che un restauratore “impertinente”, nel corso del tempo, abbia marcato quei tratti, così da dare nella realtà l’impressione di un profilo demoniaco a quel lembo di nuvola.
Basandoci soltanto su dati stilistici e limitando la nostra ricerca al solo Giotto e alla rappresentazione delle nuvole negli affreschi di Assisi, se si confronta la scena in questione con quella che raffigura l’estasi di San Francesco, il nembo sospeso alla base del santo in contemplazione, in alcune parti presenta delle estremità che possono dare facilmente l’impressione della presenza di forme reali; ma è un’impressione molto vaga e indeterminata: in base a ciò, la tesi di Sgarbi apparirebbe quindi convalidata. A sostegno di questa opinione, si aggiungerebbe, inoltre, il fatto che la tempera usata nelle grandi composizioni affrescate ha un tratto per sua natura largo che può dar luogo nella stesura pittorica a piccoli e marginali effetti imprevisti. L’ipotesi, invece, che vi possa essere stato un restauratore maldestro (o magari burlone) che abbia volutamente rimarcato quei tratti, dandone un effetto molto diverso da quello iniziale, non appare molto credibile. Anche se costui l’avesse fatto in tempi in cui non si parlava certo di restauro critico, essa sarebbe una possibilità difficile da accettare.
Tuttavia vi sono anche altri indizi che andrebbero considerati: se infatti si osserva con attenzione e nei minimi dettagli il volto misterioso, ci si accorge come quest’ultimo sia particolarmente e incisivamente caratterizzato. Se si raffronta questa fisionomia con le altre rappresentazioni giottesche del medesimo soggetto, nella fattispecie la Cacciata dei Diavoli da Arezzo (sempre nello stesso ciclo), e il Giudizio Universale nella Cappella degli Scrovegni a Padova, i volti demoniaci presentano delle notevoli differenze stilistiche, tanto da lasciare non pochi dubbi circa la possibile somiglianza con il volto in oggetto.
Infine si consideri un ultimo elemento: se da una parte è indubbio che quella nuvola presenti delle caratteristiche apparentemente umane, dall’altra denuncia una strana somiglianza con il tratto tipico di Giotto più maturo, quello della Cappella Scrovegni. Si osservino, a tal proposito, i volti delle varie scene padovane, dove peraltro i protagonisti si presentano ancora più individuati; e li si confronti con la figura di Assisi: si noterà nel taglio degli occhi allungato di molti volti presenti ─ dietro cui sono raffigurati personaggi reali ─, nel tratteggio netto e lineare, una singolare e bizzarra somiglianza. In base a quanto detto, non si vuole certo arrischiare delle conclusioni frettolose, ma soltanto indicare alcune ipotetiche linee di collegamento stilistiche tra gli affreschi padovani, su cui non vi sono dubbi circa la paternità giottesca, e quelli di Assisi, dove permangono tuttora pareri discordanti circa l’attribuzione delle singole parti. Come suggerisce Chiara Frugoni, bisognerà ora procedere a un’analisi più approfondita, e non è escluso che emergano nuovi e inaspettati risultati.
Marco Cesareo
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