Tra pirateria e business legale: Megaupload e Megavideo in cifre

Il sequestro dei siti di quella che il Dipartimento di Giustizia statunitense ha definito “Mega Conspiracy” ha destato scalpore e riacceso il dibattito sulla difesa del diritto d’autore. Mentre l’attenzione generale si concentra su norme e principi, esaminiamo i numeri di un successo planetario. (Foto: logo megaupload)

Nelle ultime settimane si è ampiamente dibattuto sulle presunte violazioni del diritto d’autore da parte del network Mega, ma poco si è parlato del suo grande successo economico. Attraverso i servizi per la condivisione e fruizione on demand di contenuti multimediali, il network dei siti Mega ha raggiunto risultati impressionanti: 180 milioni di utenti registrati, 50 milioni di contatti giornalieri – pari al 4% del traffico totale su Internet –, introiti quantificati in non meno di 175 milioni di dollari. Una tale popolarità, tuttavia, non poteva che destare l’attenzione dei grandi produttori di contenuti. E la domanda, in questi casi, è sempre la stessa: da dove vengono i soldi?
Il network offriva servizi di per sé legittimi. I guadagni derivavano principalmente da due attività: la sottoscrizione da parte degli utenti di account premium – che consentivano l’accesso illimitato ai servizi offerti – e la pubblicità online, fortemente correlata alla popolarità dei contenuti condivisi. La differenza tra la Mega Conspiracy e gli operatori analoghi – come ad esempio YouTube – consisteva nell’esistenza di un piano di incentivazione, chiamato “Uploader Rewards”, che elargiva premi in denaro a coloro che avessero diffuso i video più popolari. L’esistenza di questo programma sarebbe, secondo gli inquirenti, la dimostrazione della consapevolezza delle violazioni al diritto d’autore attuate dagli utenti sui siti del network.
A fronte di ricavi tutto sommato esigui, perlomeno in relazione all’enorme volume di traffico, il Dipartimento di Giustizia USA ha quantificato danni all’industria dell’intrattenimento per 500 milioni di dollari. Questa roboante cifra, tuttavia, non è in alcun modo approfondita nell’atto di accusa. Se da un lato i numeri sul traffico complessivo sono facilmente determinabili, risulta quasi impossibile calcolare quanta parte degli utenti del servizio abbiano effettivamente usufruito illegalmente di materiale coperto da copyright. A ciò si aggiunge l’incapacità di stimare l’effetto positivo, in termini pubblicitari, causato dalla diffusione dei contenuti. In definitiva, una misurazione precisa dei danni prodotti dalla violazione del diritto d’autore, in un contesto così ampio e incerto, appare quantomeno difficile.

Alessandro Turco

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