All’arrembaggio della rete: la pirateria informatica

A seguito della chiusura di Megaupload, torna alla ribalta il problema della pirateria informatica, fenomeno economico difficile da arginare giuridicamente, che lede i diritti d’autore, ma incentiva la concorrenza all’interno dell’industria culturale. (Foto: Flickr cc jesusleon)

I pirati del digitale non hanno una benda sull’occhio e una gamba di legno; al posto dell’uncino, nella mano destra hanno un mouse e la loro arma principale è la tastiera del pc. Anche loro navigano, però: il loro oceano è l’immensa rete di internet, nella quale mettono gratuitamente a disposizione degli utenti materiale coperto da diritto d’autore, come film, musica, libri, videogiochi. Recentemente uno di questi pirati del web è stato arrestato e il suo “naviglio” oscurato: si tratta di Kim Dotcom, fondatore di Megaupload, uno dei siti più popolari per usufruire di prodotti video, audio e software.
Secondo uno studio recente a cura dell’azienda inglese Envisional, il traffico illegale di dati digitali ammonta al 24% dell’attività del web. I canali principali di diffusione della pirateria informatica sono tre. Megaupload rientra nella categoria dei cosiddetti cyberlockers o file hosting sites, sorte di archivi in cui si può usufruire di file caricati dagli utenti stessi. I più popolari oltre Megaupload sono 4Shared, RapidShare e Hotfile.
L’altro canale, quello che ricopre la percentuale maggiore del traffico illegale di dati, è costituito dalle reti peer-to-peer. Sono network in cui gli utenti si scambiano i file “da pari a pari”. Bittorrent è il capofila, seguito da eMule, eDonkey, Usenet.
Infine ci sono i portali per la visione di materiale in streaming, cioè tramite un “flusso” di dati che permette di godere di un file sul momento (“real-time entertainment”), senza doverlo scaricare sul proprio computer. Un esempio su tutti, Youtube. Questi siti garantiscono elementi non coperti da copyright, spesso inseriti su richiesta del loro autore. Può accadere, però, che includano anche file illegali.
Ultimamente i tentativi di repressione giuridica della pirateria informatica non hanno fatto altro che scatenare proteste e malcontenti contro leggi obiettivamente difficili da definire, che sembrano ledere la libertà di espressione e la circolazione di idee, e favorire le lobby dell’industria culturale. Movimenti politici internazionali, come il Partito Pirata, o siti come Wikipedia, Google, Amazon, si sono opposti a proposte di legge dubbie come le americane SOPA (Stop Online Piracy Act) e PIPA (Protect IP Act) o a progetti internazionali di regolamentazione in materia di copyright, come l’ACTA (Anti-Counterfeiting Trade Agreement), che prevede un accordo tra UE, USA, Giappone e altri Stati, esclusi Russia e Cina. Questi provvedimenti vorrebbero un inasprimento dei regolamenti che tutelano il diritto d’autore, con la possibilità di giungere facilmente a sanzioni legali o carcerarie, nel caso di violazioni del copyright.
Di conseguenza, sta diventando evidente come il modo più efficace per contrastare la pirateria informatica sia creare delle valide ed economiche alternative legali. La questione ha spinto siti come iTunes, Netflix o BBC iPlayer a mettere in vendita brani musicali e interi album, film o puntate di serie tv a prezzo altamente concorrenziale, dando un colpo significativo all’illegalità e un incentivo al mercato della cultura. Anche quei siti come Youtube, che permettono una fruizione di dati in streaming, pagando i diritti d’autore, stanno giocando un ruolo importante in questo senso. Studi autorevoli come quelli di Forbes e Ars Technica hanno dimostrato, infatti, come il mercato dei film e della musica sia stato uno dei pochi a svilupparsi anche in periodo di crisi.
Forse il detto «non tutti i mali vengono per nuocere» vale anche quando si parla di pirateria informatica.

Silvana Calcagno

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