Sguardi soli
Visita a due delle mostre in corso a Milano, in un itinerario che collega, attraverso un immaginario filo intrecciato di emozioni, il grande pittore americano Edward Hopper e l’occhio delle fotografie di Steve McCurry.
Morning sun – Edward HopperA Palazzo Reale e a Palazzo della Ragione, due dei simboli della cultura e dell’arte milanese, sono in mostra due grandi artisti statunitensi in apparenza molto diversi tra loro.
Il primo è icona di una grande arte, di una pittura evocativa ed indimenticabile. Edward Hopper è il pittore dell’America dell’inizio del ventesimo secolo, Hopper è il pittore del silenzio dei luoghi pallidi e solitari, Hopper è uno dei maestri della luce. Della luce sui muri.
I suoi personaggi sono attori di storie narrate per metà e lasciate in sospeso; nell’aria trasparente aleggia un senso di inquietudine, a volte di imbarazzo.
Imbarazzo che provocano anche i soggetti di Steve McCurry, occhi sgranati di bambini costretti alla guerra, di giovani infanti che vogliono giocare alla guerra per essere liberi. Occhi che fanno male perché trapassano la coscienza; lo sguardo di Sharbat Gula insegue tra le stampe delle fotografie uno spettatore che non riesce a fare a meno di guardarla a propria volta.
Sembra che sia capace di fissarti in qualsiasi posizione tu sia.
Anche di spalle.
La prima parte della mostra si osserva camminando curiosi e, forse, tranquilli tra le immagini illuminate da fari appesi al soffitto; si odono i commenti delle altre persone, ci si sofferma su visi troppo belli per essere veri. E poi, là in fondo, proprio al centro, compare la ragazza afghana, la copertina di riviste, l’icona di una guerra e di una situazione politica ed economica disastrosa.
Fissa il pubblico con i suoi occhi così forti che sembrano avere vita propria, così terribilmente espressivi da fare paura, da mettere in soggezione.
Ed è in questo modo che McCurry, con le sue opere, si avvicina al mondo ad olio, perfetto e immobile, dei dipinti di Hopper.
Entrambi attirano a sé lo spettatore, entrambi lo fanno sentire scomodo, fuori posto, in un luogo che appare così estraneo ma così affascinante.
Le situazioni descritte dal pittore sono in apparenza calme, deserte, tranquille ma dentro a quei corpi fatti di pigmenti si intravedono tempeste ed uragani, drammi indicibili, pensieri forse a volte scomodi.
Sono molti i critici che lo definirono cinematografico: per via delle inquadrature. Così come furono in tanti ad ispirarsi ai suoi scenari per film, Hitchcock, per esempio.
Così come Hopper preferisce rappresentare sì la realtà, ma attraverso i ricordi, anche McCurry compie un viaggio attraverso un immaginario che è bene non dimenticare mai: un bambino peruviano che piangendo si porta una pistola alla testa, una donna che incide la sua impronta su un finestrino bagnato di una macchina, tre uomini accovacciati che sembrano trasposizioni di un solo individuo.
La mostra fotografica è divisa in tematiche: gioia, guerra, silenzio, l’altro, bellezza, infanzia più tre short stories, Aids, Monsoon, Portraits.
L’atmosfera è suggestiva e si è quasi costretti a danzare tra gli stretti corridoi che si creano tra una stampa e l’altra.
A Palazzo Reale,invece, una grande occasione di ammirare le incisioni di un uomo davvero capace di osservare, di un artista le cui mani, riprodotte a carboncino, sembrano spezzare la distanza che le separa dal pubblico per vivere di vita propria.
L’unica pecca è la fretta con la quale si viene scaraventati dentro al negozietto dei gadget e dei souvenir, sempre troppo zeppo e sempre troppo affollato.
Viene da chiedersi se sia il luogo più fornito della mostra la quale, purtroppo, è priva dei grandi capolavori del pittore, ma piena, comunque, di emozioni.
Katia Bonini