.|La pasticceria|.

La pasticceria era finalmente pronta. Adele aveva provveduto ad arredarla secondo il suo gusto. All’entrata, subito dopo la porta di legno, una pianta in un grosso vaso si arrampicava su di un bastoncino, alto sì e no due metri. Al centro, in un ambiente di circa dieci metri quadrati, il bancone in vetro, che racchiudeva un grande cassetto da riempire con dolci e leccornie varie. Sulle pareti, una carta da parati verde acqua marina e sul soffitto una specie di affresco che lei stessa, sfruttando le conoscenze della scuola di pittura, aveva realizzato, sentendosi un po’ quel Michelangelo dei libri di arte che aveva tanto ammirato.
Quella mattina, molto presto, arrivò davanti all’entrata vestita di tutto punto. Sapeva che avrebbe dovuto pasticciare, ma aveva in mente di cambiarsi. Il primo giorno era speciale, e voleva essere elegante.
Adele salì sulla metro alle otto e un quarto e scese dopo sole tre fermate, alle otto e diciotto.
Giunta nella piazza, abbracciò con lo sguardo le colonne del porticato e procedette con un’espressione serafica verso il suo locale. Aveva deciso di chiamarla “Pasticceria Adele”. Certo, non era proprio originale, ma in compenso conteneva il suo nome, che per lei era la cosa più importante.
Appena arrivata alla saracinesca, infilò la chiave e alzò. La porta di legno sembrò salutarla. Le pareva sorridesse, come una persona. Aprì anche questa, con un giro svelto nella toppa, ed entrò, correndo subito a spalancare le tapparelle che costringevano la stanza al buio. Un’onda di luce e giorno entrò nella piccola bottega, in parte occupata da mobili e scaffali.
Dopo un minuto, eccola con il grembiule, sotto il quale trovava posto, adesso, un vestito meno fine di quello precedente. Aprì rapidamente lo zaino ed estrasse il libro. Il libro delle ricette. Lì erano contenuti tutti i segreti che personalmente aveva sperimentato in vari anni di cucina, quando, da sola, si trovava a condividere il suo tempo con zucchero, arance candite e marmellate deliziose. L’amore l’aveva poi un po’ distratta, ma alla cucina aveva donato il suo cuore.
Il silenzio della stanza era tutto intorno a lei, caldo come la cioccolata appena stemperata. L’avvolgeva delicatamente, accarezzandole i capelli e facendole intuire ricette misteriose. Era come se i suoi dolci nascessero da una segreta rivelazione. Era quella che la spingeva a mettere cento grami di burro o duecento, un cubetto di lievito o due, una marmellata alle albicocche o alle fragole, per guarnire.
Adele era pronta. Con passo svelto si chiuse dentro il laboratorio, posto sul retro del locale e accessibile da una piccola porta di metallo, dipinta di beige.
Il tempo a disposizione era tanto. Aveva previsto l’apertura al pubblico, con l’inaugurazione, per le diciassette e trenta ed erano ancora le nove.
Si rimboccò le mani e iniziò a darsi sotto.
Chi l’avrebbe vista in quel momento avrebbe certamente detto di lei che era una persona sicura di sé. I suoi movimenti tra i fornelli e il ripiano di lavoro, per quanto lo spazio a disposizione fosse poco, erano svelti e decisi. Sapeva dove mettere le mani.
Un intenso odore di cioccolato e caramello si innalzava dal fornello più grande, da un pagliolo di rame smaltato. Dentro, una fluida crema color nocciola colonizzava ogni lato del recipiente, con gocce anche sui bordi e sul manico. Poco più in là, sul ripiano, come soldatini sull’attenti, tutti in fila, il latte, tre tipi di farina, una brocchetta con dell’acqua, lo zucchero e il sale fino. Sulla spianatoia, una ciotola fonda con un canovaccio sopra, rialzato da un’accentuata prominenza. Adele, con le maniche alzate e con entrambe le mani a massaggiare un balocco di pasta gialla, muoveva ritmicamente il corpo, ondeggiando come una sirena tra le onde.
Il tempo passò rapidamente e la pasticceria andava verso la sua ufficiale inaugurazione. Alle sedici in punto, Adele adagiò il primo vassoio di biscotti alla cannella sul piano al centro della sala. Poi fu la volta di quello con le sfogliatelle della nonna, alle mandorle e alle nocciole, dei cestini con la crema deliziosa, delle fette di torta al cioccolato e alla crema pasticcera.
All’ultimo vassoio, quello con le tartine “a modo mio”, si fermò davanti al tavolo, con espressione stanca ma soddisfatta. Che sorriso fu quello.
Ormai stavano per farsi le diciassette e trenta. Il momento tanto attesto era vicino.
Staccò i fogli di giornale dalla porta, svelando l’interno, spalancò l’entrata e accese le luci celesti che dovevano creare il giusto effetto, facendo risaltare i colori vivaci delle pareti.
L’ottimo lavoro di promozione dell’evento diede i suoi frutti. Non erano stati sprecati quegli interi pomeriggi in giro per la città, a consegnare inviti e volantini e, allo stesso modo, la campagna organizzata su Facebook e Twitter.
I primi invitati arrivarono già cinque minuti prima dell’evento. Molti altri – quasi una sessantina di persone – furono lì entro i dieci minuti successivi. E poi un via vai di curiosi che sentivano il delizioso profumino che si diffondeva fuori dalla porta. Complimenti e baffi leccati, tovagliolini di carta e prenotazioni di dolci e torte per i compleanni e le occasioni più vicini. Adele visse con grande entusiasmo la giornata d’inaugurazione.
Il numero dei presenti era andato oltre ogni sua aspettativa e speranza, così come l’apprezzamento sincero – si evinceva dalle loro espressioni all’assaggio – era stato un trionfo.
In poco tempo furono le venti. La pasticceria, stanca del lungo giorno di lavoro, doveva chiudere. L’indomani, alle dieci, avrebbe riaperto per tutti.
Adele abbassò sfinita e soddisfatta la serranda, avviandosi alla macchina con Giorgio, il fidanzato.
A casa, subito prima di andare a letto, diede uno sguardo all’agendina: quanti impegni c’erano per i primi giorni di attività. Meglio così. Il buon giorno, d’altronde, si vede dal mattino.

Marco Papasidero

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