Quando la grazia è davvero ricevuta
Uno sguardo attento e composto su microstorie fatte di personaggi comuni e di normale quotidianità con le difficoltà e le incongruenze della vita che attraversano tutti indistintamente, ma anche con la constatazione del valore della propria unicità umana così come della possibilità di un riscatto personale.
Valeria Parrella, Per grazia ricevuta, Minimum fax 2005 (copertina edizione Beat)
Per grazia ricevuta, edito da Minimum fax nel 2005 e fra i finalisti del Premio Strega, è la seconda raccolta di racconti ambientati a Napoli di Valeria Parrella, giovane scrittrice che rivela, nel tratteggiare personaggi e situazioni, uno stile inusuale e a volte pittorico.
La scrittura della Parrella è un narrare dalla parola asciutta ed essenziale, si direbbe quasi minimalista se non fosse che ricorda, nel dar rilievo a quel che racconta, anche le tinte forti e contrastanti della pennellata espressionista.
Un raccontare che entra nel profondo dei vissuti e delle scelte personali di vita che sono a volte drammatiche, altre normali e forse per certi aspetti non condivisibili, ma comunque rappresentative delle contraddizioni e della complessità della nostra esistenza e su cui non si può che sospendere il giudizio.
Il titolo della raccolta prende il nome dall’ultimo dei quattro racconti che la compongono, ma La corsa e Siddarta sono forse quelli che meglio esprimono il senso di una grazia ricevuta anche se con modalità strutturali diverse.
Nel primo racconto, Anna, la protagonista, è la voce narrante che dà corpo a tutta la vicenda nell’incalzare drammatico dei fatti. Conosciamo dalle sue parole il suo vissuto di compagna e di madre, le sue strategie quotidiane per accudire il figlio piccolo e sbarcare il lunario quando resterà vedova, il suo dover stare ai confini della legalità in quella landa desolata in cui l’umanità più fragile sovente è ricacciata perché non le è data altra possibilità. Eppure, pur nella crudezza dell’esperienza del carcere e della maternità sottratta, escono note di tenerezza laddove il piccolo Tonino chiede alla madre un altro di quei braccialetti che lei costruisce in carcere. Il primo lui l’ha donato alla maestra come regalo di congedo al suo ultimo anno alle elementari «Perché era la cosa più bella che avevo», giustifica. E il racconto è all’inizio proprio dedicato «A Tonino, per il braccialetto», quasi a voler chiudere con un abbraccio simbolico affetti comunque trasmessi e incorporati nonostante le difficoltà della vita. Vita che si riscatta poi nel finale del racconto col presentarsi di un’opportunità inaspettata forse non proprio adamantina, ma che è, a suo modo, anche senso della giustizia e grazia ricevuta.
Con Siddarta il senso della grazia ricevuta pare intessuto nel racconto stesso e nel calore che trasmettono i dialoghi. Anche qui la vita di tutti i giorni scorre tratteggiata in piccoli quadri di attenzione all’altro laddove, in casa, si tace quel che già si sa per non dispiacere chi si ama; oppure sul posto di un lavoro fatto anche d’illegalità, dove i rapporti fra i vari personaggi si risolvono alla fine in un incontrarsi che è anche la consapevolezza di appartenere alla stessa famiglia umana e che andare contro l’altro sarebbe un po’ come andare contro se stessi.
Emanuela Carbonelli