La riscoperta del simbolo nell’era del pragmatismo tecnologico

“Il simbolismo in Italia” in mostra a Padova fino al 12 febbraio 2012, riscopre l’attualità di quella “crisi delle certezze” positiviste che nella vita e nell’arte segnò la fin de siècle europea a cavallo tra il 1880 e la prima guerra mondiale, portando alla ribalta la valenza del linguaggio dei simboli nella rappresentazione dell’interiorità dell’uomo. (Foto 1: Flickr cc freeparking; Foto 2: Flickr cc narice28)

Gaetano Previati, Maternità (1890-91)

Nella tradizione della Fondazione Bano, le grandi mostre allestite nella storica sede di Palazzo Zabarella a Padova riscuotono sempre un notevole successo di critica e pubblico. In barba alla generale decadenza che investe oggi i nostri beni artistici e culturali, Federico Bano, presidente dell’omonima Fondazione, colpisce di nuovo nel segno proponendo, fino al 12 febbraio 2012, “Il Simbolismo in Italia”, una riflessione su un movimento poco esplorato dell’arte italiana ed europea, che ha interpretato insieme gli entusiasmi e le inquietudini della Belle Époque, tra il 1880 e la prima guerra mondiale. Attraverso il costante dialogo tra arte, letteratura, cinematografia, il Simbolismo diventa così una vera temperie culturale, che richiama in vita i grandi valori universali dell’umanità – il senso della vita e della morte, il sogno, la fantasia, il mito, il mistero – in un momento storico in cui la fiducia positivista nel progresso scientifico e tecnologico sembrava minacciarli. L’ardita proposta della Fondazione Bano sembra giungere quanto mai opportuna oggi, nell’era del pragmatismo della tecnologia, con l’invito a riscoprire territori forse dimenticati dell’animo umano; un invito soprattutto alle nuove generazioni, che nel linguaggio dei simboli possono ritrovare la dimensione soggettiva, oltre che sociale e collettiva, dell’essere umano.

Gustav Klimt, Giuditta II (1909)

«Oggi fortunatamente il Verismo ci ha stancati», scriveva nel 1883 l’ex-medico, nauseato dalla scienza, Angelo Conti. Il superamento del Realismo nell’arte, e l’avvento della nuova tecnica del Divisionismo, rappresenta in Italia l’esito più interessante delle istanze simboliste europee. A Milano, alla prima Triennale di Brera del 1891, Gaetano Previati presentò Maternità, soggetto particolarmente caro al simbolismo, che egli interpreta riflettendo sulle sensazioni più inconsce legate al concetto di amore materno; la figura principale della Vergine che allatta il Bambino, circondata da una schiera di angeli adoranti, crea una perfetta armonia di suggestioni mediante la resa ormai divisa del colore e l’uso profondamente innovativo della luce che fa sfumare i confini del modellato, nell’intento di cancellare ogni riferimento alla realtà oggettiva. Rispetto al movimento simbolista milanese, animato da Previati e altri, a Roma artisti come Giulio Aristide Sartorio, anche per l’influenza del “vate” D’Annunzio, elaborano una pittura che si rifà ancora alla tradizione rinascimentale, privilegiando il mito o l’allegoria sulle orme dei Preraffaelliti inglesi (cfr. il polittico Le vergini savie e le vergini stolte, La sirena, ecc.). La rappresentazione del mito e del sogno, intesi come evasione dalla realtà volgare del presente, e il ricorso all’allegoria, quale gioco di elementi contrapposti che creano “ibridi” inquietanti, segnano appunto altri due momenti tematici del percorso espositivo; così, alla visione della donna che custodisce in se stessa i segreti della natura, si affianca l’idea di una femminilità conturbante e dall’erotismo carico di un senso di morte e di perdizione, come nella Giuditta II di Gustav Klimt, grande protagonista del Simbolismo tedesco celebrato alla Biennale di Venezia del 1910. Il sentimento panico della natura, il mistero della vita, l’abisso, l’immaginario in bianco e nero, la Sala dell’Arte del Sogno alla Biennale del 1907, completano, con ulteriori momenti espositivi, le tappe di questo straordinario viaggio attraverso le zone misteriose e inesplorate che la realtà apparente nasconde.

Carmela Bafumi

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