
Lunga e veloce è la vita di Istanbul
Ondeggiando sulle strade sconnesse di Sultanahmet ci si prepara al caos travolgente delle altre facce di Istanbul. Con la certezza che, se anche la vita della città scorre davvero rapida, la scoperta dell’unica metropoli stretta nell’abbraccio di due continenti sarà comunque piacevolmente serena. (Foto: © Beatrice Sartini)
Cavalcando il profilo di due mondi – il continente europeo e l’Asia – si possono scoprire molte cose: la prima è che perdere il conto dei passi, il controllo dei sensi e la dimensione temporale degli eventi è un rischio che davvero vale la pena di correre.
Lo skyline di una delle sponde di Istanbul, ammirata dal traghetto che taglia le acque scure del BosforoCon gli occhi avvolti nei profili panciuti e maestosi delle cupole, l’udito ammaliato dal richiamo nostalgico dei minareti a raccogliersi regolarmente in preghiera e il naso punto da una miscela di aromi speziati, un piacevolissimo sovraccarico di stimoli finisce per stordire chiunque attraversa questo spazio abbastanza vicino al surreale. L’impossibilità a rimanere indifferenti è la certezza per la moltitudine di visitatori, che si guardano attorno cercando quel filo conduttore nella città che sembra non esserci e che, dopo una giornata girovagante tra il continuo mutare dei suoi quartieri, permette di apprezzare ancora di più il rientro nella pace del proprio hotel.
Nel lunghissimo trascorso dei suoi cambi d’identità – prima città greca, Bisanzio, poi capitale dell’Impero Romano d’Oriente, Costantinopoli, quindi anche di quello Ottomano e, perché no, la nomina di “seconda Roma” e di capitale europea 2010 della Cultura –, la bella Istanbul è divenuta la terza città più popolosa nel mondo, con un bagaglio di storia, arti, religioni, tradizioni, che nella pluralità del loro divenire possiamo oggi ammirare e tentare di conoscere.
Città generosa, regala un panorama mozzafiato quando, navigando tra le urla dei gabbiani stridenti per un pezzo di pane, lo sguardo accarezza il profilo di uno skyline di cupole, minareti e grattacieli confusi in un’alternanza perfetta. È proprio da passeggeri di quel traghetto che solca centinaia di volte al giorno le acque grigie dello stretto del Bosforo – crocevia che collega il mar Nero al mar di Marmara –, che si misura quanto corre veloce la vita a Istanbul: le scie spumose sotto lo scafo segnano lo spostamento da un mondo all’altro, dove, in soli venti minuti, si assiste al cambio di contesto, stili, tempo, espressioni, odori e vissuti.
Almeno tre le identità che la compongono: Sultanahmet la città vecchia, Beyoğlu il quartiere moderno sulla porzione nord del Corno d’Oro e la sponda asiatica della città.
Istanbul offre l’occasione di infinite passeggiate scenografiche, come quella sul lungo ponte di Galata, dove l’unico accorgimento è quello di fare attenzione a non abboccare prima dei pesci al lancio degli ami gettati in acqua dai pescatori, in fila su sedie improvvisate, che attendono risposta fiduciosa dai fili immersi fino a notte tarda. A quell’ora il brillare delle moschee illuminate si offusca per il salire al cielo del fumo dei narghilè, aspirati da boccate ampie e rapide, che spezzano il ritmo dell’abbondanza di chiacchiere tipica dell’estrema socialità dei turchi che, assieme ai turisti, popolano viuzze e stradine un po’ ovunque.
Metropoli veloce ma serena, come il moto sincronico dei dervisci dispersi in meditazione che si lasciano osservare, con la testa reclinata su una spalla e le braccia allargate al cielo. Seguendo quei corpi rotanti – che ripropongono la spettacolare tradizione della meditazione sema, simbolo dell’unione tra gli appartenenti alla confraternita Melveva, oggi fuorilegge, e Allah – si comprende come la velocità possa convivere con la leggerezza e con il ritorno a una pace silenziosa che, senza esitazioni e quando meno ci si aspetta, immobilizza corpo e mente in un equilibrio sereno, pronti per il prossimo movimento.
Variegata nell’universo femminile che calpesta le sue strade, che guarda il mondo attraverso una fessura stretta, oppure con il viso incorniciato da un fazzoletto in tinta con l’abito o anche con i capelli nudi al vento.
Intricata come i vicoli del Gran Bazar, che ripetono all’infinito l’echeggiare di continui inviti a guardare, provare e acquistare l’offerta irripetibile dei mercanti di qualunque merce. Città venditrice di scoperte, come l’esistenza di nuovi colori e forme, tinti nelle dune di curcuma, di chiodi di garofano e disegnate nelle montagne di dolcetti, pistacchi e prugne scolpiti a opera d’arte sui banconi del Bazar delle Spezie.
Custode dell’anima, nella preziosa magia della Moschea Blu, dove milioni di piedi veloci, che ogni giorno solcano le strade e i ponti della città, trovano la pace, nudi e purificati, accarezzando la sofficità dei tappeti illuminati dalla luce di mille candele fioche. È sotto quella volta immensa, col capo chino, coperto e in silenzio, che Istanbul offre, a chi la visita e a chi la vive, un respiro di pace e di energia da spendere. Per gustare in velocità il prossimo tè bollente servito lungo la strada e il prossimo quartiere camaleontico, da visitare prima che cambi forma e prospettiva.
Beatrice Sartini