Lingua madre o “lingua padre”?

Secondo una ricerca dell’Università di Cambridge l’incidenza maschile è più forte di quella femminile nei mutamenti linguistici. È ciò che emerge dallo studio condotto dai ricercatori Peter Forster e Colin Renfrew, pubblicato recentemente sulla rivista specialistica «Science».

Per definizione il mutamento linguistico è la «variazione linguistica delle caratteristiche di una lingua» ed è determinato «dal contatto fra lingue coesistenti nello stesso tempo in un’area relativamente piccola». (Lazzeroni, 1987). Per comprenderne meglio la sua origine, i ricercatori dell’Università di Cambridge, Peter Forster e Colin Renfrew, non hanno condotto un’analisi linguistica, bensì genetica — un campo di studi ancora in via di elaborazione — degli abitanti attuali in Europa, in modo da ricostruire le vicende del popolamento del continente e il conseguente sviluppo linguistico. Nello specifico si sono domandati se le differenze linguistiche fossero tracciate geneticamente attraverso la linea materna o attraverso quella paterna, analizzando rispettivamente il DNA mitocondriale o i geni dei cromosomi Y. La loro tesi attesta che il cambiamento linguistico dei nostri antenati preistorici sia avvenuto grazie ai flussi migratori di uomini in nuovi insediamenti territoriali.

Il punto di partenza è stato lo studio sugli antichi flussi migratori dei polinesiani verso i territori della Melanesia, a seguito dei quali si sono formate piccole aree lungo la costa della Nuova Guinea nelle quali si parlava l’uno o l’altro idioma. Si è, inoltre, analizzata la colonizzazione dell’Islanda da parte dei Vichinghi scandinavi che avevano portato con loro donne rapite dalle isole britanniche. Per entrambi i casi gli studi genetici hanno dimostrato come solo il cromosoma Y riflettesse le origini culturali del linguaggio di ogni luogo. Sicuramente, come ha affermato il professor Renfrew, ha inciso il fatto che «durante la colonizzazione ad opera di pionieri˗agricoltori, il numero degli uomini superasse di gran lunga quello delle donne e per questo abbiano sposato donne del posto, imponendo ai figli l’idioma paterno». Forster ha aggiunto come «nella cultura europea, indiana, cinese, ecc. l’espressione “madre lingua” è un concetto profondamente radicato nell’immaginazione popolare. Per questo per molti anni il ruolo dei padri o di maschi di successo non è stato riconosciuto dai genetisti. Le donne preistoriche adottavano prontamente il linguaggio degli immigrati maschi, soprattutto se i nuovi arrivati erano combattenti valorosi o agricoltori in grado di garantire uno status più elevato».

Nel caso in cui venisse accettata questa tesi, sarebbe interessante chiedersi come mai questo modello di “madre lingua” abbia tenuto nel tempo. Forse perché gli uomini sono per natura meno flessibili delle donne ed esse hanno più capacità di adattarsi all’ambiente? O forse perché gli uomini hanno uno stato sociale più forte che ha permesso loro di imporre il loro linguaggio alla famiglia e alla comunità?

Erika Elleri

Foto: http://www.flickr.com/photos/disgustipado/4144165859

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