L’esame di italiano per gli immigrati

Dal 9 dicembre 2010, gli stranieri presenti in Italia potranno ottenere il permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo sottoponendosi e superando un test ufficiale che misura la loro conoscenza della lingua italiana. Una novità importante su cui riflettere.

AA. VV., Il test di italiano per stranieri - Eserciziario, a cura di Francesca Desiderio, Alpha Test, Milano 2011

Il decreto del Ministero dell’Interno affronta uno dei punti chiave dell’immigrazione: la conoscenza della lingua parlata nel Paese in cui si desidera risiedere. In sostanza, per ottenere il rilascio del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, lo straniero deve “possedere un livello di conoscenza della lingua italiana […] in corrispondenza al livello A2 del Quadro comune di riferimento europeo per la conoscenza delle lingue approvato dal Consiglio d’Europa.”
Il superamento del test, cui possono sottoporsi solo gli stranieri regolarmente presenti in Italia da almeno 5 anni e che abbiamo compiuto 14 anni di età, consente di richiedere alla Questura il permesso di soggiorno CE, che dà diritto al soggiorno a tempo indeterminato. Sono esonerati dal test tutti gli immigrati in possesso di titoli di studio o professionali che attestino la buona conoscenza dell’italiano.
l test non presenta particolari difficoltà di contenuto. Il livello A2 di conoscenza di una lingua equivale a un livello medio-basso di comprensione. Gli esercizi consistono nella comprensione di testi ed espressioni, brani di argomento quotidiano.
Da un lato c’è chi discute l’opportunità del decreto, sostenendo che fare della competenza linguistica il presupposto per acquisire diritti e stabilità giuridica sia insensato. Altre variabili, infatti, sarebbero da tenere in considerazione, come per esempio il reddito prodotto o l’anzianità del soggiorno in Italia. La conoscenza della lingua quale anticamera del riconoscimento del diritto a soggiornare introduce, secondo alcuni, un principio discriminatorio, il pericoloso presupposto per avallare in futuro divieti o limiti all’inserimento nelle istituzioni – del mondo dello studio e del lavoro – del Paese. Inoltre, la lingua costituisce in sé un elemento culturale, non può trasformarsi in barriera all’accesso. Tanto più che le società sono sempre più multiculturali e plurilingue, e bisogna scongiurare la paura della diversità linguistica.
Dall’altro c’è chi, a sostegno del decreto, ritiene che l’integrazione debba passare anche attraverso la conoscenza della lingua e che sia piuttosto la non-conoscenza a ostacolare l’ingresso e la vita in una società. Non si vuole negare il diritto alla cultura personale, in quanto il test non è inteso come imposizione di un sistema culturale, bensì solo come misura della capacità di accesso alla vita quotidiana nel Paese in cui si risiede, della capacità di comunicare, capire e farsi capire da istituzioni e cittadini. Inoltre, essere in possesso di un documento ufficiale che attesta anche il livello di conoscenza dell’italiano aiuta nello studio e nel lavoro, tanto per proseguire la formazione iniziata nel proprio Paese quanto per ambire a un lavoro migliore. Infine, il vero paradosso risiederebbe nel dover mettere in campo risorse dispendiose per lo Stato per reggere una situazione di multilinguismo senza regole: istituzioni, enti, forze dell’ordine devono poter comunicare con chiunque risulti soggiornante di lungo periodo, contando sulla sua comprensione diretta, senza dover ricorrere alla mediazione di traduttori ufficiali.
L’immigrazione resta un argomento difficile. Tanti sono gli aspetti su cui lavorare. Per esempio in Italia non c’è ancora un’offerta gratuita nazionale di formazione linguistica; vanno snellite le procedure per l’ottenimento dei permessi di soggiorno, ma insistere anche sul rispetto della legalità, nell’interesse dell’intera società; va migliorato il rapporto con le istituzioni, il dialogo tra le persone. Senza dimenticare il rispetto reciproco e l’osservanza di diritti e doveri da parte di tutti.

Francesca Desiderio

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