Il Parco e i Giardini della Reggia di Caserta: l’utile e il dilettevole di una famiglia reale

Il Parco e i Giardini della Reggia sono una preziosa testimonianza dello stile e delle usanze dell’epoca dei Borbone; ma essi furono anche luogo di intense sperimentazioni scientifiche, fino a divenire, in tempi recentissimi, l’ultima ancora di una specie in estinzione.

Il bagno di Venere

La Reggia di Caserta è certamente tra le opere italiane che più ci rendono fieri. Ricca di storia, di aneddoti e segreti, come ogni dimora reale deve essere, ci è stata raccontata molte volte dai più autorevoli degli esperti. Oltre alle  normali attività giornaliere dei reali che vi hanno vissuto, quelle stanze ormai note a tutti hanno certamente registrato segreti e aneddoti non sempre riportati nei libri di storia. Le mura reali non furono, però, le uniche testimoni degli eventi dell’epoca . Il Parco della Reggia, con i suoi Giardini all’inglese e all’italiana, hanno storie altrettanto importanti, nonché poco note, da svelarci. È qui che si concentra la nostra attenzione, per raccontarvi brevemente le attività di svago e la ricerca scientifica che si svolsero tra le fronde di queste piante. La storia del parco comincia nel 1753, quando furono avviati i lavori sotto la supervisione dell’architetto Luigi Vanvitelli. Adiacente al palazzo vi è la prima parte di questa grandiosa opera, la zona destinata al parterre, nota anche come Giardino all’italiana. In quest’area, sulla sinistra, vi è il “bosco vecchio”, luogo utilizzato dal giovane Ferdinando IV, successore di Carlo III, come zona di esercitazione militare. Qui il rampollo dei Borbone amava inscenare finte battaglie: assalti alla Castelluccia, riproduzione di una fortezza creata appositamente per queste esercitazioni; ma anche finte battaglie navali, per cui veniva utilizzata la cosiddetta Peschiera grande, laghetto artificiale con isolotto, in cui venivano anche allevati i pesci cucinati durante i banchetti reali. Nei pressi della peschiera vi erano le abitazioni dei Liparoti, ex marinai dell’isola di Lipari, che si occupavano della manutenzione delle barche usate nelle finte battaglie.

La “Castelluccia”

Il Giardino all’italiana si immette poi nel lungo percorso rettilineo che parte dalla fontana Margherita e arriva al colle di briano, alla fine del parco. Questo passaggio è di certo l’immagine più famosa della reggia: un lungo viale con al centro il percorso d’acqua che scende dalla cascata artificiale sul colle e alimenta le varie fontane dell’asse mediano del parco. L’acqua giunge qui partendo dalle falde del monte Taburno e percorrendo i circa 40 km di lunghezza dell’acquedotto Carolino, anch’esso progettato da Luigi Vanvitelli ma completato dal figlio Carlo. Alle fontane si alternano grandi vasche d’acqua, il tutto adornato da una serie di magnifiche statue a tema mitologico. Vi sono episodi tratti dalle Metamorfosi di Ovidio, come il mito di Diana e Atteone, in cui si racconta che la dea trasforma in cervo il cacciatore Atteone per averla vista nuda e lo lascia sbranare dai suoi stessi cani; vi è il mito di Venere e Adone, l’episodio dell’Eneide in cui Eolo tenta di fermare Enea per ordine di Giunone e richiami alla pacifica dea della fertilità Cerere.

Il Criptoportico

Si arriva, infine, all’ultima zona del Parco della Reggia, il Giardino all’inglese. Luogo di grandissima importanza per la sperimentazione di carattere estetico che ne caratterizzò la creazione, esso fu soprattutto di enorme rilevanza dal punto di vista scientifico. Su consiglio di sir William Hamilton, la moglie del re Ferdinando IV, la regina Maria Carolina di Borbone, incaricò il grande botanico e giardiniere inglese John Andrew Graefer di creare un giardino che fosse il più possibile fedele ad un paesaggio naturale, nello stile romantico che veniva appunto definito all’inglese. L’opera, i cui lavori di preparazione cominciarono nel 1786 con la collaborazione di Carlo Vanvitelli, si rivelò alla fine molto più che un semplice giardino paesaggistico. Ciò che rese quest’area del Parco interessante sotto più punti di vista fu soprattutto l’influenza del nuovo pensiero estetico, che tendeva sempre più a fondere il piacere visivo delle forme con la conoscenza scientifica e la sperimentazione tecnica in campo agricolo. I 23 ettari del giardino vennero quindi edificati non solo con lo scopo di divertire i reali, ma con l’obiettivo di ottenere risultati che fossero di pubblica utilità. Situato alla fine del lungo viale centrale, sulla destra, ad esso si accede passando per il Criptoportico; questa struttura è la copia di un ninfeo, edificio dedicato ad una ninfa, ornato da statue provenienti dagli scavi di Pompei e dalla collezione Farnese. Accanto vi è il Bagno di Venere, piccolo laghetto dal quale emerge la dea scolpita da Tommaso Solari. Altre statue di questo scultore sono collocate nella zona detta Aperia, luogo in cui venivano allevate le api per la produzione del miele. Più avanti l’acqua forma un nuovo laghetto nel mezzo del quale vi sono due isolotti; sul più grande dei due sorge un tempietto in rovina. Un piccolo Labirinto, infine, veniva usato come luogo di divertimento in cui i reali inseguivano per gioco le dame.

L’isolotto nella Peschiera grande

La parte restante del giardino è la più importante dal punto di vista scientifico: vi si trovavano, infatti, le serre in cui Graefer coltivava specie di piante esotiche per adattarle ai climi ed al terreno campano. Tutte le suddette zone del giardino erano decorate non solo da piante locali, ma anche da esemplari provenienti da luoghi lontani, come la Camelia japonica, pianta del Giappone introdotta in Italia per la prima volta proprio qui. La grande fertilità del terreno permise anche la sperimentazione di nuove tecniche di coltivazione; ciò portava ad una tale produzione che i profitti bilanciavano gran parte dello sfarzo dei giardini. Nel 2002 il Bagno di Venere è stato scelto per l’acclimatazione della Petagnia Saniculifolia, pianta endemica della Sicilia ormai dichiarata in pericolo di estinzione.

Davide Lepore

La foto n.1 è di proprietà di Roberta Cacciapuoti
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