Il giro del mondo a piedi di Béliveau, apoteosi della filosofia del camminare
Un viaggio a piedi lungo 11 anni: con il canadese Jean Béliveau, da attività ordinaria il camminare diventa impresa straordinaria. Dall’antichità ad oggi, ecco come cambia la “camminata” in un excursus che ne ripercorre la funzione sociale, artistica, terapeutica e “filosofica”. (Foto concessa da J.Béliveau wwwalk.org)
Un signore canadese, Jean Béliveau, ha serenamente lasciato la sua Montreal e la sua attività imprenditoriale nel giorno del suo quarantacinquesimo compleanno, nell’estate del 2000. Vi è ritornato da cinquantaseienne solo pochi giorni fa, dopo avere realizzato una vera e propria impresa da guinness: percorrere a piedi la bellezza di settantacinquemila chilometri attraversando sessantaquattro nazioni, praticamente il mondo intero. Quali siano le doti psico-fisiche e le risorse materiali per riuscire da “comuni mortali” in queste imprese da record, ce lo suggerisce Alessandro Vergari, che rappresenta bene sia la “teoria” che la “pratica” del camminare, in quanto autore del “Manuale del camminare lento” e responsabile di numerosi trekking nella natura d’Italia e d’Europa con la sua associazione “Walden viaggi a piedi” : «dopo i primi giorni di cammino l’organismo si assesta e compie senza sforzo un esercizio che ha fatto per migliaia di anni e che fino a pochi decenni fa era una consuetudine. Anche dal punto di vista dell’attrezzatura personale, c’è bisogno davvero di poco». Per intenderci, non è indispensabile munirsi, come ha fatto Béliveau durante il suo itinerare, di un carrellino con funzioni di valigia e “casa”, che in alcuni momenti è arrivato a pesare anche cento chili.
Certo, c’è modo e modo di rapportarsi al cammino. L’impresa di Béliveau ha dello straordinario, ma il camminare di per sé è una delle azioni più “ordinarie” dell’essere umano. A partire dalla rivoluzione industriale, nell’Occidente economicamente evoluto, l’atto del camminare, da esperienza ordinaria e abituale, è divenuto una scelta cosciente e talora in controtendenza, uno dei sistemi più efficaci per conoscere se stessi e armonizzare mente, corpo e la realtà circostante. Basterebbe dare un’occhiata alle foto del viaggio di Béliveau, presenti nel sito wwwalk.org, per rendersene conto. Camminare, infatti, oltre ad essere una medicina portentosa per il fisico, lo è anche per lo spirito. Ne sono un esempio i predicatori erranti francescani, i pellegrini lungo i sentieri della Francigena o lungo il Cammino di Santiago e ancor prima i viandanti della Grecia classica in marcia verso i luoghi sacri degli Oracoli. Anche i letterati hanno spesso “flirtato” con il camminare. Nietzsche poneva il camminare tra le sue gioie primarie, idem per Rousseau («camminare ha qualcosa che anima e ravviva le mie idee») e per Kerouak («semplicemente camminare fissando la strada sotto i piedi»). Chatwin è considerato il cantore del viaggio camminato, inteso come “azione primaria di conoscenza”. Camminare ha anche una connotazione di protesta sociale, facendosi “marcia”, in genere pacifista: la “Salt March” del mahatma Gandhi contro il colonialismo inglese – lunga quattrocento chilometri – ne è l’emblema. Non sono certo stati insensibili al fascino della camminata i filosofi, che hanno anzi colto alla perfezione lo stretto collegamento tra camminare e pensare. Aristotele teneva le sue lezioni ai “peripatetici” proprio camminando e parecchi secoli dopo Kierkegaard era convinto che i pensieri migliori gli venissero camminando. Gli esponenti delle arti figurative hanno talvolta utilizzato anche il camminare per esprimere il loro estro: si pensi ai dadaisti con le loro “passeggiate artistico-estetiche”. Non dimentichiamo inoltre che, dagli scenari yankee del “Forrest Gump” di Zemeckis alla scenografia nostrana di “Basilicata Coast to coast” di Papaleo, anche il cinema ha strizzato l’occhio all’arte del peregrinare. E alla fine del cammino, cosa rimane? «Ho scoperto che più che dei panorami, in ogni viaggio sono indelebili i ricordi delle persone incontrate durante il cammino», conclude Vergari. Un’affermazione che riporta alla mente una delle prime dichiarazioni rilasciate da Béliveau, una volta giunto a completamento della sua impresa: «è un cammino che ho fatto grazie alla gente, senza di loro sarebbe stato impossibile». I conti, anzi i passi, tornano. Tra camminatori è naturale che si parli la stessa lingua, anche se si calcano suoli diversi.
Raffaele Basile