Ferruzzano Superiore: da paese fantasma a set cinematografico
In bilico su una collina di roccia, a meno di 500 metri sul livello del mare, nella Calabria Bizantina, si trova il paese di Ferruzzano Superiore, nato prima di Cristo e agonizzante dal terremoto del 1907. Nel borgo antico vive ormai uno sparuto numero di persone, ma il fermento più alto lo portano i turisti e le troupe cinematografiche.
I
n Calabria, l’autunno regala spesso giornate di sole surreali; momenti in cui è difficile credere alla data sul calendario: ci si affida al proprio sentire e le temperature sono piacevoli. In una di queste mattine, abbiamo visitato il paese, viaggiando fra le sue rughe (strade) e nella moltitudine di storie che raccontano.Le origini e le scorrerie
La costa inizia a essere civilizzata stabilmente dall’800 a.C., quando un manipolo di Greci approda a Capo Bruzzano; nei secoli successivi, la scelta di abitare il colle viene dettata dalla protezione che offre nei confronti di attacchi dal mare: diversi popoli, infatti, nel corso del tempo, attuano spesso scorrerie su questo litorale. Da una rocca inespugnabile, come quella di Ferruzzano Superiore, è più facile proteggersi e sapere in anticipo del loro arrivo. Leggenda narra che in una di queste scorrerie uno degli oppositori sia stato squartato e il risultato posto in tre punti strategici, su cui i concittadini posero delle croci, ancora oggi presenti.
Un’altra leggenda vuole che le scorrerie finirono con l’intercessione del santo patrono. Un manipolo di uomini si dirigeva verso il paese con cattive intenzioni e sulla strada incontrarono un uomo anziano, che tentò di dissuaderli, prima di essere perso di vista. Arrivati in paese, gli uomini trovarono gli abitanti in chiesa, intenti a pregare san Giuseppe, la cui statua era l’esatta riproduzione dell’uomo incontrato poco prima. Alcuni caddero in ginocchio e si convertirono, altri scapparono e non fecero più ritorno.
Un paese di campagna
Il paese, dal 1870 circa, si popolò di braccianti e manovali, venuti anche da fuori, e arrivò a contare circa 2000 anime, fino agli anni ’50.
La vita semplice e il lavoro nei campi erano i tratti distintivi di Ferruzzano Superiore: mancavano i servizi igienici nelle case e l’acqua corrente a portata di mano, ma questa era la condizione di normalità per la stragrande maggioranza della popolazione. Andare alla fonte a prendere acqua faceva parte di quegli eventi sociali che mantenevano viva l’unione fra le persone che vivevano qui. Altri momenti di carattere fortemente sociale ruotavano attorno al forno e alla fiumara. Ogni rione aveva il suo forno, a volte anche più di uno, di cui tutti potevano usufruire per cuocere pane e cibi vari, in giorni concordati, vissuti quasi come una festa. Per lavare la biancheria si andava alla fiumara, portandosi la “caldaia” – un pentolone per farla ribollire –, la cenere, il sapone, spesso fatto con olio di semi di lentisco (un cespuglio sempreverde, con bacche rosse, tipico della macchia mediterranea), e qualcosa per il pranzo.
Molte case avevano un “catoju”, una cantina, in cui alloggiavano alimenti e animali, come il maiale di famiglia o le galline, che spesso avevano un piccolo ingresso personalizzato tra le mura dell’edificio. Al piano superiore, si poteva vedere il “fundicu”, una tegola apparentemente come le altre, che veniva spostata per arieggiare il locale quando non pioveva. Sotto i balconi delle case signorili, infine, c’erano le “lamie”, coperture in cui si riparavano famiglie nomadi, che si spostavano per lavoro o per necessità da un paese all’altro: in cambio dell’ospitalità offrivano i propri servigi da ciabattini o stagnai. Chi aveva, invece, solo una stanza in cui vivere, dormiva col maiale e i figli nel giaciglio accanto, in una particolare rivisitazione della Natività.
Il terremoto
Un paesino come molti altri, dove si viveva con semplicità una vita genuina, finché il 23 Ottobre del 1907 un terremoto ne incise irrimediabilmente la storia.
Era notte. I cittadini di Ferruzzano Superiore erano nei loro letti da molte ore, dato che in campagna si segue il ciclo del sole. Una prima scossa, di una manciata di secondi, fu seguita da molte altre durante la notte. Gran parte delle case del paese crollarono, seppellendo al loro interno gli abitanti e privando i superstiti di un luogo dove rifugiarsi. La pioggia incessante e le difficoltà di comunicazioni e spostamenti fecero il resto. In tutta la zona morirono circa 400 persone e altre 600 rimasero ferite: a Ferruzzano Superiore si contarono 158 vittime. I superstiti organizzarono un campo, arrangiato con tende e baracche, in una località vicina al borgo di Saccuti, che poi prese il nome dalle strutture di emergenza, Baracche, attualmente ancora abitato.
La lenta ripresa
Riprendersi da una catastrofe simile fu per Ferruzzano Superiore come tornare a correre senza una gamba: fino agli anni ’60 si ricostruì e si cercò di vivere come o meglio di prima, inframezzando il lavoro nei campi con un curioso esodo estivo verso la spiaggia. Qui ogni famiglia costruiva la sua “loggia”, una capanna di canne e felci, portandosi anche maiali, galline e pecore, e vi risiedeva per una ventina di giorni nel mese di agosto.
Ai servizi già presenti, come il medico e il farmacista, negli anni si erano affiancati anche quello postale e la “Casa dei Bambini”, costruita per volere di Umberto Zanotti Bianco assieme alla “scuola gemella” nella frazione di Saccuti, nella metà degli anni ’20 del Novecento. Le prime automobili e i primi mezzi agricoli meccanici furono accolti con una tenace diffidenza, ma il progresso ormai era inarrestabile. Si lavorò per decenni per andare avanti nonostante la memoria del terremoto, anche con l’aiuto di personaggi come Umberto Zanotti Bianco, che prese a cuore il Meridione e l’alfabetizzazione, formando un vasto numero di maestri e creando centinaia di asili, scuole elementari e biblioteche. A Ferruzzano Superiore almeno toccò una sorte magnanima, rispetto a quella del paese aspromontano di Africo, “deportato” in massa dopo un’alluvione. Nulla tornò come prima, però, e con la diffusione del mito dell’America, il paese divenne lentamente un fantasma di se stesso.
Ferruzzano Superiore diventa set cinematografico
Oggi le poche famiglie che abitano tenacemente a Ferruzzano Superiore sono accompagnate da un’eco che varca il tempo e lo spazio: racconta di amori, feste, lavori in campagna e funerali. I ricordi fanno compagnia, ma lasciano anche tanta amarezza: sentimenti che si combattono in un luogo fuori dal tempo, che torna a nuova vita solo in concomitanza con le riprese di qualche film.
Storie, quelle narrate dai film, che permettono di assaporare ancora la vita di un tempo che ha lasciato il segno. A dare l’illusione di un ritorno ai tempi che furono ci pensano le troupe cinematografiche: esplorano il paese, identificano degli squarci utili alle riprese e li “truccano” per richiamarli dalla nebbia dei ricordi.
In quei giorni, il paese è ricco di incontri: dai muli alle auto d’epoca, dai bambini annoiati alle “comari” vestite di nero. Sono questi i periodi in cui coloro che vengono a Ferruzzano Superiore fanno finta di essere qualcuno, fintanto che la cinepresa è accesa e poi tornano alla loro vita. Una bolla, purtroppo, che, completato il suo obiettivo, scoppia e lascia dietro di sé solo la speranza in future riprese. Questa è almeno la quarta volta che Ferruzzano Superiore si trasforma nello scenario di un film e sembra che la qualità dei prodotti sia sempre più alta: nei primi anni ’80, “Terrarossa” di Pietro Criaco, tratto dal libro di Saverio Strati “La Teda”, e proiettato al Festival Cinema Giovani di Torino nel 1985; in questi giorni si stanno ultimando le riprese del film tratto dal romanzo “Via dall’Aspromonte”, con la regia di Mimmo Calopresti.
Un possibile futuro
Del resto, come dar torto alla rabbia di chi si è visto togliere in un attimo tutto ciò che aveva di più caro? La terra trema e fa implodere la tua vita, le tue abitudini e le sicurezze che ti avevano spinto fino a qui. Dopo un primo momento in cui cerchi di negare cosa sta realmente accadendo, si passa all’istinto primordiale di sopravvivenza, per arrivare, infine, alla disperazione per quanto è andato perso e andrà ricostruito, nel limite del possibile.
Quella di Ferruzzano Superiore è una storia come molte se ne sentono in Calabria: paesini sconquassati da un evento calamitoso o lentamente diretti verso la desertificazione sociale e purtroppo anche culturale. È un vero peccato, però, che una regione così ricca di storie e popoli veda nel futuro dei propri piccoli centri abitati solo e unicamente l’oblio di molte vite.
In molti di questi “centri poco abitati” si punta sempre più a sviluppare economie alternative, consapevoli che tutto gira ormai attorno alla disponibilità di lavoro. Ci sono comuni che vendono alla simbolica cifra di un euro le case, con l’unico vincolo di una residenza di almeno cinque anni: il primo ad aver attuato questa iniziativa è stato Salemi, in provincia di Trapani, seguito poi da Gangi, sempre in Sicilia, e da molti altri negli anni. Altri ancora si ripopolano accogliendo emigrati e richiedenti asilo, come ha fatto il comune di Riace, 50 chilometri più a nord di Ferruzzano Superiore.
Pochissimi, infine, si trasformano in una vera e propria struttura turistica rionale, dove ognuno partecipa con le proprie capacità per accogliere coloro che sono curiosi, vogliono scoprire e vivere in prima persona il luogo che decidono di visitare. Questo è il caso dell’Albergo Diffuso, iniziativa nata a Comeglians, in provincia di Udine, e poi diffusasi anche in altre realtà, come il paese di Buonvicino, nel Parco del Pollino, in provincia di Cosenza. Un punto da cui ripartire c’è forse anche per Ferruzzano Superiore, come suggerisce Vito Teti: cavalcare l’onda del “paese fantasma” e ibernare quel tempo, trasformando l’abitato in un museo vivente e perpetuo, a testimonianza del terrore di un ricordo e dei rimpianti: una via percorribile per un futuro senza la paura dell’oblio.