
Dal “Concorde” alla “Concordia”. Un monito per la “hybris” del XXI secolo
L’ipertecnologico aereo supersonico “Concorde” e la gigantesca nave da crociera “Concordia”. Stesso nome, pari tragicità degli eventi, similitudine nelle dinamiche, analoghi spunti di riflessione.
E un ammonimento per l’uomo d’oggi che trae origini nel pensiero letterario e filosofico della Grecia antica. (Foto: Wikimedia Commons)
Il 6 dicembre 2010 le cronache internazionali hanno riportato alla memoria uno degli eventi più nefasti dell’aviazione civile. Si è, infatti, concluso il processo di primo grado per il tragico decollo parigino dell’aereo supersonico “Concorde”, che in italiano si traduce: “concordia”. Questo prodigioso aereo, vanto dell’aeronautica franco-britannica, l’unico “di linea” in grado si superare la velocità del suono, poco più di dieci anni fa si trasformò in una trappola mortale e con esso precipitò un “mito” moderno che sembrava inattaccabile. Il 13 gennaio di quest’anno, il suono della parola “Concordia” ha di nuovo per un po’ perduto alle nostre orecchie le sue caratteristiche di armonia, dopo il luttuoso naufragio della “megalitica” omonima nave da crociera nelle acque toscane. Due prodigi della tecnologia del XXI secolo hanno inopinatamente rivelato una fallacità poco prevedibile. “Hýbris” è un termine della letteratura greca che indica l’”eccesso” umano, il superamento delle leggi non codificate dell’armonia. «La mancanza di misura, maturando, produce la spiga del traviamento, e il raccolto che se ne trae è di fatto solo lacrime», scriveva Eschilo venticinque secoli fa riferendosi al suo “Prometeo”. “Hýbris” sembrerebbe il trait d’union tra i due eventi, unitamente alla singolare coincidenza dei nomi. A Parigi come all’isola del Giglio, la mirabolante opera dell’uomo è stata posta in discussione da “briciole” di fatalità insignificanti quanto a dimensioni, rispetto ai due colossi mandati in fatale tilt.
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Uno sperone di roccia “occhieggiante” tra le acque del Giglio, una subdola lamella dimenticata su di una pista di decollo, ed ecco messo a mal partito in pochi istanti lo “spirito prometeico” che connota l’uomo contemporaneo. E allora viene da riflettere. La volontà di autolimitarsi è forse diventata il vero peccato originale da cui affrancarsi, la finitudine umana è qualcosa da contrastare con smisurato impegno? “No limits” recitava la pubblicità di una nota marca di orologi anni fa. “Few limits” sarebbe forse lo slogan più rispondente alla condizione umana. Spesso s’intravede invece una visione esasperata e sterile della tecnologia che porta insostenibilmente in alto i livelli dell’hybris umana. Assemblare un colosso dei mari che riunisca a scopi dilettevoli l’equivalente per numero di “abitanti” di uno dei tanti paesini nostrani decimati dall’immigrazione, cercare di far raggiungere l’Oltreoceano a frettolosi vacanzieri di ampio raggio nello stesso tempo con cui una volta si raggiungeva il paesello confinante, forse non sono proprio delle priorità da prefiggersi. Un tasso di “hýbris” troppo elevato, anche se non è misurabile con l’etilometro, può talvolta portare a conseguenze paragonabili a quelle di una guida in stato di ebrezza. Prestare più ascolto alla vocina della sobrietà sepolta nell’uomo contemporaneo è forse un dovere per qualsiasi mente sensata, per far sì che il progresso sia un percorso costellato da tappe gioiose, limitando al minimo quelle dolorose.
Raffaele Basile