Addio a Zanzotto: finisce così la poesia italiana?
La scomparsa del poeta italiano Andrea Zanzotto porta a riflettere sullo stato della poesia italiana oggi, sul suo pubblico, sulla critica e sul ruolo dell’intellettuale.
Se anche l’eremita nascosto nel più recondito anfratto del globo è venuto a conoscenza della morte di Steve Jobs, probabilmente lo stesso non può dirsi per la morte di Andrea Zanzotto. Sono passati, infatti, i tempi in cui anche i poeti erano figure di spicco della scena pubblica, personalità che venivano ascoltate e capite.
Andrea Zanzotto è stato uno dei protagonisti della poesia italiana dal 1951, anno di pubblicazione della sua prima raccolta di poesie, Dietro il paesaggio, al 2011, anno della sua morte. È stato un intellettuale impegnato, attivo, coinvolto nella società nella quale e per la quale scriveva.
Dopo la sua morte è stato definito “l’ultimo poeta italiano”, un epiteto glorioso, ma amaro. Se si guarda al panorama della poesia in Italia oggi, i dati parlano chiaro. Secondo il rapporto Istat del giugno 2011 sulla produzione libraria del 2009, la tiratura media annuale dei libri di poesia e teatro è di 756 copie, contro le 8715 di libri di avventura e gialli e le 5125 di altri romanzi e racconti. Afferma Alfonso Berardinelli, critico letterario e saggista, che «la poesia in Italia è letta solo dai poeti o dagli aspiranti tali. Si tratta quindi di un pubblico viziato all’origine perché autoreferenziale, un pubblico in cui prevalgono gli interessi personali. Se un’arte perde il pubblico, la qualità decade perché non c’è reazione».
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La ragione di questo declino della poesia può spiegarsi con la difficoltà del genere poetico, meno accessibile al grande pubblico, ma è dovuto anche a precise volontà editoriali e a una scomparsa del ruolo dell’intellettuale che forma, critica, informa. Sempre Berardinelli sostiene che le ultime figure di intellettuali impegnati, che guidino il pubblico nella creazione di un gusto e di una sensibilità letteraria e critica, risalgono alla generazione di Pasolini e, appunto, Zanzotto. È stata, invece, l’editoria che negli ultimi anni ha rimpiazzato la critica. «Le case editrici — secondo Berardinelli — si sono trovate a surrogare i filtri intellettuali. Questo ha significato un sostanziale declino della critica, che si è rivelata uno strumento promozionale, spesso perdendo la sua funzione selettiva e valutativa».
Franco Arminio, poeta, scrittore e regista, in un intervento dal significativo titolo Sull’epoca che ha detto addio alla poesia, nota come la maggior parte della produzione e creazione poetica sia supportata oggi da internet. Nella marea di informazioni che la rete offre, la poesia di qualità ha difficoltà a farsi largo tra la mediocrità, le notifiche di Facebook, la pubblicità, le notizie di gossip. La poesia oggi è specchio del mondo in cui viviamo, «un’epoca che — afferma Arminio — ha deciso di rinunciare alla poesia per il semplice motivo che la poesia è il più grande nemico del binomio produzione–consumo in cui abbiamo calato ogni esistenza, compresa quella del pianeta. La poesia è un tentativo d’intensità e come tale è un tentativo losco in un momento in cui la vita somiglia sempre più ai farmaci omeopatici: sostanza diluita fino all’inesistenza».
Silvana Calcagno