
Il mio 4 luglio americano
Una piacevole combinazione di eventi mi porta a Washington nel giorno dell’Indipendenza americana. Tutto il Paese si prepara alla grande festa ed io ho l’onore e il piacere di festeggiare nella capitale il mio 4 luglio americano. (Foto: © Francesco Longo; foto 5: Flickr cc katieharbath)
Superato il Benjamin Franklin bridge mi dirigo a Wilmington per una sosta per la notte. Dopo essere passato da Southampton, Glasgow e Dover, che mi fanno capire quanto gli americani siano stati poco originali con la scelta dei loro nomi, arrivo nella capitale nella tarda mattinata.
Riconsegno l’auto a noleggio nei pressi della stazione e, guardandomi intorno, non mi rendo conto di essere realmente a Washington.
Forse perché ho sempre visto immagini della città relative alla casa bianca, ai vari monumenti e alle strade ben curate; sicuramente non mi aspettavo una periferia così degradata: case abbandonate fanno da sfondo a decine di persone che chiedono soldi, sigarette e che mi vogliono condurre da qualche parte per “fare un affare”.
Man mano che mi avvicino al centro cittadino però la città sembra cambiare volto: la zona degradata lascia il posto ad una città splendente e a una folla di turisti che cammina lentamente per la strada chiacchierando rumorosamente.
Iniziano poi a comparire dovunque stendardi e bandierine americane: sulle finestre delle case, sulle porte dei negozi, all’ingresso della metropolitana, usate come cappottini per cani… insomma, dovunque.
Lo spirito del 4 luglio americano coinvolge tutti e anche io, dopo una sosta per una bibita fresca, mi ritrovo con una coccarda in omaggio che appendo subito al mio zaino.
In poco tempo vengo contagiato dallo spirito patriottico della nazione e per un attimo provo davvero invidia verso questo popolo che, nella buona e cattiva sorte, ama il proprio Paese incondizionatamente.
Essere a Washington proprio il giorno della festa del 4 luglio americano mi fa capire quanto importante sia per loro questo evento. Al contrario di quello che ho sempre visto in Italia, dove il patriottismo spesso è legato unicamente allo sport (o meglio, al calcio), qui mi ritrovo fra persone che sotto un’unica bandiera rivivono la storia del loro Paese, con orgoglio e passione. Un Paese che nonostante i vari problemi continua a puntare sul multiculturalismo e sulla politica del merito, dando possibilità a chi non può permettersi molto, concedendo, ad esempio, borse di studio ai più meritevoli, anche se disagiati.
Ho parlato con immigrati europei e asiatici e mi ha colpito molto il sentimento di affetto che provano verso questa nazione. Senza dimenticare l’amore, le tradizioni e la cultura del loro Paese natio, mi hanno confidato di non riuscire a pensare ad un futuro lontano da qui, da questo posto che gli ha offerto una possibilità e che giorno dopo giorno continua a offrirgli.
Certo, in alcuni casi forse eccedono nelle loro manifestazioni d’affetto, come il tingersi i capelli o il volto con i colori della bandiera o travestirsi da ex presidente, però è un piacere vedere una moltitudine di persone di tutte le nazionalità ed etnie festeggiare insieme la propria nazione. Questo conferma un mio pensiero: il Paese è di chi lo ama, non per forza di chi ci è nato.
Seguo la folla e, dopo essere passato davanti alla Casa Bianca, arrivo all’imponente Lincoln Memorial, eretto in memoria dell’ex presidente più importante e amato degli USA, l’uomo che ha tenuto insieme il Paese dopo la guerra di secessione e che ha combattuto e vinto la lotta alla schiavitù.
Il monumento ha la forma di un tempio greco, bianchissimo e splendente al sole, al cui interno è presente una statua di Lincoln, meta di pellegrinaggio di migliaia di turisti.
Esattamente di fronte al tempio si trova la reflecting pool, una piscina che si estende per 700 metri e termina con la vista di un obelisco, monumento a George Washington, che dovrebbe specchiarsi nella piscina stessa. Dico “dovrebbe” perché sfortunatamente ho l’occasione di vederla sono nelle foto presenti sul posto, dato il restauro in corso.
La città è vivibilissima, tutte le maggiori attrazioni sono vicine l’una dall’altra e gli ingressi dei musei sono gratuite in tutta la città: passo quasi tutta la giornata fra il museo della storia americana, il bellissimo campidoglio e gli splendidi viali della città: quest’ultima fu costruita, infatti, seguendo lo schema del parco di Versailles, in onore alla Francia che contribuì all’indipendenza degli USA.
Quando il sole sta ormai per tramontare torno al Lincoln Memorial e costeggio la piscina seguendo con lo sguardo l’obelisco, fino ad arrivare al Memorial Park, pieno di ragazzi e famiglie stese a terra in attesa dei fuochi artificiali per la festa del 4 luglio americano: la sera è ormai arrivata e tutti sono in attesa con gli occhi al cielo.
Mi guardo intorno e noto con piacere il grande numero di persone nel parco che giocano a palla, ascoltano musica e che si gustano un pic-nic.
Non è esattamente nello stile americano radunarsi in massa come succede in molte città europee per il solo piacere di stare insieme. Questo evento nazionale scombussola però i loro piani e si rendono conto di quanto sia divertente e piacevole condividerlo.
Finalmente inizia lo spettacolo pirotecnico e il cielo si riempie di colori e luci e, nonostante la lieve pioggia, tutti restano fermi al loro posto per godersi lo show.
Le centinaia di luci nel cielo sembrano tante stelle che sovrastano le persone come se tutti fossero sotto un’immensa bandiera.
Dopo dieci minuti, tre forti colpi annunciano la fine dei fuochi e tutti si alzano in piedi per applaudire. Osservo la folla andare via mentre rimango steso sul mio asciugamano in attesa che l’ingorgo di persone sia finito.
Dopo nemmeno un’ora, le strade sono praticamente vuote, solo gli addetti alle pulizie le riempiono insieme alla polizia che continua a pattugliare la zona.
Ritorno silenziosamente verso il mio hotel con ancora negli occhi lo sfavillio delle luci e ringrazio la città per avermi fatto festeggiare la loro festa, la mia festa, il mio 4 luglio americano.
Francesco Longo