Il genio tormentato di Adolfo Wildt

Scultore tra i più sofisticati e colti del nostro Novecento, fu maestro di Lucio Fontana. Centonovanta opere di Adolfo Wildt, in mostra nelle sale dei musei di San Domenico a Forlì fino al 17 giugno, ripercorrono la sua complessa e controversa vita artistica. (Foto: Flickr cc Nando_Carlucci)

È questo il primo appuntamento del “Progetto Novecento” (http://www.fondazionecariforli.it), promosso dalla Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì e dal Comune di questa città, che si estenderà fino al 2013 articolandosi in un susseguirsi di esposizioni parallele, dislocate in diverse sedi.
Il titolo della mostra, “L’anima e le forme da Michelangelo a Klimt”, sintetizza il progetto plastico di questo grande maestro formatosi sullo studio appassionato dei predecessori, da Fidia a Canova, e mosso dal suo «potente bisogno di sincerità», come da lui stesso dichiarato nel 1915.
L’allestimento del parigino Wilmotte et Associe’s, in collaborazione con lo Studio Lucchi e Biserni, ricostruisce un itinerario completo della sua produzione, sia scultorea che grafica, e affianca le opere di Wildt a sessanta capolavori di grandi artisti per mettere in luce il suo eclettismo e la sua sorprendente capacità di dialogo e di confronto: Fidia, Michelangelo, Pisanello, Bramante, Crivelli, Ghirlandaio, Bronzino, Cosmè Tura, Bernini, Dürer e Canova alcuni dei maestri sui quali si è formato; Previati, Mazzocutelli, Rodin, De Chirico, Morandi, Casorati, Melotti, i contemporanei con cui si è confrontato; List, Klimt e Fontana che da lui hanno attinto.
Adolfo Wildt nacque a Milano nel 1868 dove morì nel 1931. Amava definirsi autodidatta, etra i suoi alunni dell’Accademia di Brera – dove venne invitato ad insegnare scultura in virtù dei suoi chiari meriti artistici – il più illustre rimane sicuramente Lucio Fontana.
L’opera di Wildt si articola lungo un asse ai cui estremi dominano da un lato un espressionismo memore della purezza gotica e dall’altro la sofferenza delle carni cara alla scultura barocca, ma lungo il quale ritroviamo le contaminazioni più svariate, con una particolare insistenza sulle eredità classiche e rinascimentali.
Nel corso della sua carriera venne più volte attaccato sia dalle avanguardie, in quanto estraneo ad esse, che dai sostenitori del Modernismo che ne criticavano la fedeltà al figurativo, la vocazione monumentale e il filo che lo legava ai maestri del passato. Neppure i conservatori gli risparmiarono le loro critiche, per i contenuti simbolisti e per le scelte formali estranee sia alla tradizione mediterranea che all’arte di regime. Le Biennali di Venezia del 1921, 1924 e 1926 gli procurarono fama e onori ma dopo la seconda guerra mondiale fu cancellato dalla Storia dell’Arte a causa, anche, degli alti riconoscimenti e favori goduti in epoca fascista.
I ritratti monumentali di Mussolini, Toscanini, Vittorio Emanuele III, Pio XI, Margherita Sarfatti e altri personaggi di rilievo della sua epoca gli guadagnarono la popolarità effimera delle mode, ma a rendere giustizia del suo eccezionale talento e della sua profonda sensibilità artistica resta il numero considerevole di opere che ha lasciato dietro di sé, e che testimoniano come sotto le sue mani il marmo potesse raggiungere la leggerezza dell’aria e la trasparenza eterea dell’anima, un’anima di volta in volta genuinamente classica, gotica o barocca.

Laura Marsano

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