Riscoprirsi cristiani: viaggio in Terra Santa
Una crociera nel Mediterraneo orientale fatta lo scorso ottobre. Dalle isole greche alla Turchia, passando per Israele. Un’esperienza all’insegna dell’emozione e dello stupore: un viaggio in Terra Santa regala qualcosa che il cuore non dimentica. Il mio resoconto. (Foto: © Federica Baglieri)
Gerusalemme, vista della città dal Monte degli Ulivi. In basso a sinistra, il cimitero ebraicoIl caldo, il sole, l’atmosfera quasi surreale all’arrivo al porto di Ashdod, in Israele. Cielo terso, non una nuvola. L’aria rarefatta di un’alba mediorientale: il 15 ottobre 2012, giorno del mio viaggio in Terra Santa, è una data che rimarrà scolpita nella mia coscienza di persona, nel mio bagaglio di esperienze che contribuiscono giorno dopo giorno alla mia crescita e, soprattutto, nel mio cuore, riscopertosi fervente di fronte a impronte spirituali così tuttora vive.
Arrivati a Gerusalemme, dopo aver assaporato con la vista il paesaggio cangiante d’Israele, ci siamo incamminati verso il Monte degli Ulivi. La città si mostrava a noi con tutto il suo fascino e la sua bellezza: provavo, fra il traffico e l’immancabile confusione percepibile da quella posizione panoramica, una sensazione di turbamento e di meraviglia.
Gerusalemme, giardino del GetsemaniLo sguardo, oltre che sulla celebre cupola dorata, è caduto sulle tombe del cimitero ebraico ai piedi della città e il pensiero inevitabilmente è andato a quel tragico capitolo della storia recente chiamato “Olocausto”: lì riposa anche Oscar Schindler. Abbiamo proseguito a piedi, scendendo per una strada stranamente aperta al traffico. Stranamente, sì, perché era la strada che ci avrebbe condotto al giardino del Getsemani, dove ebbe inizio la passione di Gesù, che si recò lì a pregare nella notte in cui venne tradito da Giuda e consegnato ai soldati. In quel luogo sacro, il mio cuore, per qualche indimenticabile minuto, ha provato angoscia ed emozione al tempo stesso, ho sentito un po’ di quella sofferenza che, più di duemila anni fa, turbò il Figlio di Dio. E quei pochi minuti mi hanno cambiata. Gli ulivi erano intatti, come se il tempo si fosse fermato a quella notte lontanissima: anche l’impronta spirituale di quel “passaggio” è rimasta forte e viva, ed è lì che mi sono riscoperta cristiana.
Dopo la toccante visita al Getsemani, il viaggio in Terra Santa è proseguito sotto un sole cocente. Abbiamo attraversato in autobus, per raggiungere Betlemme, il muro che separa Israele e Palestina, e ci siamo ritrovati in una realtà di gran lunga differente rispetto a quella israeliana: l’aria era più cupa, la povertà tangibile, la tensione anche. Ed è sorta spontanea la domanda: ma com’è possibile che in Terra Santa, in quello che dovrebbe essere il luogo più pacifico e sereno del mondo, si sia arrivati a questo? Le case tappezzate di cartelloni di propaganda politica, la gente per strada che ci guardava come se venissimo da un altro pianeta, le kefiah, gli aromi nell’aria, bambini dagli occhi profondi come lo squarcio nella vita politica e sociale palestinese: tutto questo ha colpito i miei sensi all’arrivo a Betlemme. In programma la visita alla Basilica della Natività, una delle chiese più antiche del mondo, dove si respira incenso e storia: tutto, attorno a noi, sembrava esalare qualcosa di magico. Avevo l’impressione di trovarmi dentro al senso del Natale, di viverne le origini. Secondo la tradizione è proprio lì, infatti, che sarebbe nato Gesù. La gente si raccoglieva in preghiera e ammirava mosaici, lanterne, nicchie; io facevo lo stesso, continuando a sentire l’emozione di trovarmi in un luogo così importante per la cristianità.
Dopo essere ritornati a Gerusalemme, durante la passeggiata a piedi verso il Muro del Pianto, mi sono accorta che intorno a me c’erano persone di diverso credo religioso: ebrei, ortodossi, musulmani, cristiani. Alcuni ci sorridevano, salutandoci con gioia, altri ci guardavano con diffidenza o addirittura ci schivavano. Io cercavo solo di capirne il comportamento mettendomi nei loro panni: ho potuto, così, non fermarmi ai pregiudizi ma guardare oltre. Ed è stato proprio l’ingresso al Muro del Pianto a essere folgorante. Decine e decine di persone immerse nella preghiera, altre a discutere su passi della Torah, altre a riporre fogliettini in ogni fessura del Muro – come ho fatto anch’io. Sembrava di stare al centro del mondo: gente di religioni diverse convivevano pacificamente in un unico luogo e con il solo intento di pregare. La commozione mi aveva avvolta e non aveva un nome riconducibile ad alcuna religione, era puro sentire che qualcosa di superiore emanava l’amore e la sofferenza che abitano quel luogo in Terra Santa. Non è facile spiegarlo.
Uscendo dall’area del Western Wall abbiamo percorso la Via Dolorosa, l’autentica Via Crucis che appartiene oggi al quartiere musulmano di Gerusalemme, per concludere la nostra giornata in Israele con la visita alla Basilica del Santo Sepolcro, che racchiude in sé le ultime cinque stazioni del cammino di Gesù verso la crocifissione. Nonostante la folla di visitatori, il silenzio avvolgeva quel luogo così sacro e la preghiera si è impadronita spontaneamente del mio animo, fra i ceri accesi nel buio del tramonto, le mie speranze e quelle della gente lì presente. Forse non c’è una spiegazione diversa dall’amore e dalla speranza per comprendere come certi luoghi, dopo duemila anni, siano ancora oggi punti di riferimento per milioni di credenti.
Dopo il mio viaggio in Terra Santa, non posso che sentirmi riconoscente per questa occasione che la vita mi ha dato. Ho sentito l’Amore, la sofferenza e l’intensità presenti in ogni scorcio di Gerusalemme, nella sua gente, nel suo cielo. Ho visto gli occhi dei bambini palestinesi: occhi scuri che parlano. Tutto ciò in un solo giorno, quanto basta per “sentire”, ma troppo poco per “comprendere”.
Federica Baglieri