Con la mostra “Dream. L’arte incontra i sogni” Danilo Eccher completa la trilogia sull’uomo
Fino al 5 maggio il Chiostro del Bramante ospita la mostra “Dream. L’arte incontra i sogni”, un progetto inedito con al centro il racconto, un viaggio personale alla riscoperta dei propri desideri, tra opere tradizionali e installazioni site specific.

Johann Heinrich Füssli – L’incubo, 1781
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Sogno”, sostantivo maschile dal latino “sŏmnium”. C’è parola più bella? Forse è seconda solo a “vita” o a “luce”, tanto il concetto di sogno è gravido di aspettative, di ottimismo, in fondo proprio di luce e di vita. Sorprende allora che nessuno scrittore abbia scelto questo lemma per il Dizionario affettivo della lingua italiana, l’antologia delle parole emotivamente più significative secondo narratori e poeti, a cura di Matteo B. Bianchi e Giorgio Vasta ed edita da Fandango Libri nel 2008. Ma è indubbio che il termine e il concetto di sogno hanno un peso emotivo per tutti e difatti la parola ritorna in altre voci del glossario, nell’aggettivo “azzurro” scelto da Antonella Cilento, finalista al Premio Strega 2014, e come contrario di “realtà”, contributo mandato in extremis dallo scrittore e giornalista Beppe Sebaste che – ammette sul suo blog – aveva dimenticato di dover proporre un termine che per lui avesse una connotazione affettiva.Naturalmente non sognano solo narratori, poeti, drammaturghi come Pedro Calderón de La Barca e William Shakespeare, artisti romantici come Johann Heinrich Füssli. Sogna la gente comune e da sempre sente la necessità di dare un senso alla propria attività onirica.
«Un sogno non interpretato è come una lettera non letta» riporta il Talmud nell’edizione curata da Abraham Cohen (Laterza, 1999). L’interpretazione dei sogni è una pratica antichissima. Gli egiziani sono tra i primi popoli a raccogliere in un vero e proprio dizionario, il Libro dei sogni ieratico (2052-1778 a.C.) le immagini oniriche più frequenti.
A lungo considerato un mezzo per predire il futuro, quando non addirittura la chiave per determinare i numeri vincenti del lotto (ad esempio nella Smorfia napoletana), il sogno è stato poi elevato a oggetto di osservazione della psicoanalisi a partire dal 1899, anno di pubblicazione dell’Interpretazione dei sogni di Sigmund Freud.
Dormendo diamo spazio alle paure legate al futuro e alle ombre del passato che ciascuno di noi porta con sé, splendidamente rese da Füssli nel suo dipinto più famoso, “The Nightmare”, con la cavalla dallo sguardo allucinato, veicolo allegorico delle sensazioni tipiche dell’incubo. Ma un sogno non è solo il prodotto inconscio di una psiche dormiente. Si sogna a occhi aperti, per andare avanti quando la vita somiglia a tutto meno che a un sogno (nella sua accezione, che si legge nel vocabolario Treccani, di «stato idillico di vita beata»). Meno positiva l’ulteriore variazione di senso che riporta Treccani, «immaginazione vana, fantastica, di cose irrealizzabili», perché sogno può voler dire anche illusione.

Jaume Plensa – Particolare di Laura Asia, 2015 e Chloe’s World V, 2018
La mostra “Dream. L’arte incontra i sogni” al Chiostro del Bramante
Dal 29 settembre e ancora fino al 5 maggio 2019, al Chiostro del Bramante di Roma non si tralascia nessuna sfumatura del concetto di sogno. “Dream. L’arte incontra i sogni” è un percorso espositivo ideato e curato da Danilo Eccher a completamento della trilogia sull’uomo iniziata nel 2016 con “Love. L’arte incontra l’amore” e proseguita, l’anno successivo, con “Enjoy. L’arte incontra il divertimento”.
«Così come l’amore era letto sul piano dell’ambiguità e il divertimento attraverso i meccanismi della partecipazione, il sogno è declinato secondo una lettura specifica, quella del viaggio», ha spiegato Eccher in una recente intervista rilasciata ad Artribune. «Non si tratta quindi di una mostra specifica sull’idea di sogno, ma di una sua rappresentazione che tocca le idee di spirito, emozione, incanto. Il percorso parte da una spiritualità terrestre, fatta di elementi fisici e naturali, per elevarsi via via a una spiritualità pura, di puro colore».
Jaume Plensa, Anselm Kiefer, Mario Merz, Giovanni Anselmo, Christian Boltanski, Doris Salcedo, Henrik Håkansson, Wolfgang Laib, Claudio Costa, Kate MccGwire, Anish Kapoor, Tsuyoshi Tane, Ryoji Ikeda, Bill Viola, Alexandra Kehayoglou, Peter Kogler, Luigi Ontani, Ettore Spalletti, Tatsuo Miyajima e James Turrell sono i venti grandi nomi dell’arte contemporanea che hanno aggiunto il proprio tassello al viaggio onirico voluto da Eccher.

Anselm Kiefer – Untitled, 1995, ph. Alessandro Amoruso
Nel percorso espositivo, opere site specific, come la soffice foresta murale di Alexandra Kehayoglou (“What if all is”, 2018) e le illusioni ottiche di Peter Kogler (“Untitled”, 2018) che rivestono la labirintica sala a lui dedicata si alternano a opere d’arte più “tradizionali”. Per esempio il dipinto, a metà tra l’astratto e il figurativo, di Anselm Kiefer (“Untitled”, 1995), che raffigura un uomo disteso sotto uno sconfinato manto stellato – in cui le costellazioni simboleggiano ciò che sfugge alla ragione e rimandano alle origini e al destino di ognuno, o ancora le sculture dell’artista spagnolo Jaume Plensa collocate all’ingresso del complesso rinascimentale del Bramante. I due volti imponenti di “Laura Asia” (2015) e “Chloe’s World V” (2018), allungati e con gli occhi chiusi, rappresentano la chiave d’accesso al mondo dei sogni che attende i visitatori oltre la soglia di “Dream”.

Peter Kogler – Particolare di Untitled, 2018 (opera site specific), ph. Alessandro Amoruso
Un’esperienza multisensoriale
Di lì in avanti è un susseguirsi di soste e ripartenze, in un’esperienza immersiva e totalizzante che coinvolge più sensi. Per salire al primo piano, lo spettatore è obbligato al passaggio attraverso i tappeti di Kehayoglou. L’effetto è rasserenante: il predominare dei toni del verde e dell’ocra rimanda all’aspetto protettivo della Natura. Diventa allora inevitabile accarezzare le pareti piene di vita di quel rifugio primordiale, che al tatto ricordano i peluche compagni di gioco dell’infanzia.
Si attraversa a un certo punto una stanza in cui troneggia uno sfarzoso letto, luogo del sonno per eccellenza e mezzo di trasporto verso la dimensione onirica. È lo spazio dedicato all’arte del bolognese Luigi Ontani che in “Heliondimio” (1987) dà vita a una sorta di tempio sacro, con il Sole e la Luna intarsiati rispettivamente nel legno della testata e ai piedi del letto. Il volto del Sole ha un unico occhio, la Luna è a faccia in giù. Due figure mitiche che rimandano alle pulsioni antitetiche dell’essere umano, mentre sogna e da cosciente: l’attrazione verso l’ignoto e l’attaccamento alla realtà. In questa sala si guarda ma non ci si sdraia, il letto di Ontani si percepisce come intoccabile.

Luigi Ontani – Particolare di Heliondimio, 1987 (1)
Ben diversa la situazione al cospetto di un’altra opera pensata appositamente per il Chiostro: “Time Sky” (2018) di Tatsuo Miyajima. Un cartello avvisa i visitatori che, varcato l’ingresso della stanza, dovranno distendersi e abbandonarsi al rilassamento dei sensi. Miyajima, tra gli artisti contemporanei più famosi in Giappone, combina la filosofia buddista con le moderne tecnologie e ha un debole per i numeri. Lampeggianti e intermittenti, le cifre da 1 a 9 si ripetono anche in quest’opera e rappresentano il viaggio di ciascuno dalla vita alla morte, associata dall’artista allo 0, che non appare mai.
Nulla è lasciato al caso da Miyajima: l’immensità del cosmo è resa con una serie di luci a led, capaci di trasportare in una dimensione fantastica. In questa sala il senso predominante è la vista anche se si sceglie di restare a occhi chiusi. Un intenso colore blu irradia l’ambiente. Sinonimo di mare e di cielo, di spazi immensi e armoniosi, insieme ai cuscini, contribuisce a donare allo spettatore un’inattesa sensazione di pace. Da quel pavimento non ci si alzerebbe più, ma sarebbe un peccato perché le sfumature del sogno – e i sensi chiamati in causa – non terminano con “Time Sky”.
“Le voci del sogno” e l’importanza della narrazione
Per tutto il percorso espositivo viene costantemente stimolato un altro dei cinque sensi, l’udito. Ogni visitatore all’ingresso riceve in consegna le cuffie per l’ascolto dell’audioguida. Fin qui niente di strano. Diventa presto chiaro a tutti, però, che lo scopo delle voci registrate, diversamente dal solito, non è descrittivo ma narrativo. Ciascuno percepisce la potenza di questa svolta in un momento tutto suo. Per me è stato al cospetto dell’installazione “Suspended Tree” (2018) dello svedese Henrik Håkansson.
Un albero, simbolo di vita che solitamente vediamo ancorato al terreno, è issato a mezz’aria e proietta la sua ombra di rami e radici su una parete del Chiostro. L’audioguida, che non ha il solito timbro monocorde e non costringe al tempo di fruizione imposto dalla mera descrizione dell’opera, amplifica il senso di perdita che lo spettatore sente strisciare sottopelle.

Luigi Ontani – Particolare di Heliondimio, 1987 (2)
La voce di Simona Tabasco recita «ho cambiato stanze, case, letti, persone» e ancora «ma il corpo non dimentica» e «solo il ricordo salva». Sono parole del regista e sceneggiatore Ivan Cotroneo che, per la mostra “Dream. L’arte incontra i sogni”, ha scritto 14 racconti originali. A interpretarli, altrettanti attori italiani. Oltre a Tabasco, Valeria Solarino, Valentina Cervi, Matilda de Angelis, Marco Bocci, Giuseppe Maggio, Matteo Oscar Giuggioli, Alessandro Roja, Alessandro Preziosi, Angela Baraldi, Brando Pacitto, Isabella Ferrari, Giulia Bevilacqua e Cristiana Capotondi.
È la prima volta che un’audioguida diviene racconto di mostra. «Cerco di realizzare un’unica grande opera, all’interno della quale i singoli lavori diventano anime pulsanti di un unico percorso creativo e narrativo, attraversato dal visitatore», ha dichiarato Eccher ad Artribune. Insieme a Cotroneo, il curatore di “Dream” ha realizzato un progetto inedito, libero dai confini didattici e pieno di significati soggettivi, aggiungendo al percorso espositivo un elemento sempre più importante nel mondo contemporaneo, la narrazione.
Dall’ombra alla luce, un viaggio soggettivo che si ha voglia di condividere
Non è un caso che i social network pullulino di selfie e soprattutto di “storie” recanti l’hashtag #Chiostrodream. Il viaggio proposto da Eccher è fisico, surreale, mentale, ma soprattutto è personale. Stando agli utenti di Instagram, il social che forse più si presta al racconto di un’esperienza immersiva come “Dream”, le opere più “instagrammabili” sono quelle costruite appositamente per gli spazi del Chiostro. Ad oggi sono quasi 5mila i post sulla mostra e la maggior parte riguardano le opere site specific: il visitatore sceglie di farsi ritrarre immerso nel sogno che sta vivendo. È molto fotografato anche il “dreamers wall”, la bacheca su cui tutti, all’uscita, sono invitati ad attaccare un post-it personalizzato con il proprio sogno nel cassetto.

Christian Boltanski – Le Théâtre d’Ombres, 1985-1990
Ogni visitatore è un sognatore. Con la mostra “Dream. L’arte incontra i sogni” rivive i propri incubi, per esempio alla vista del teatrino di figure danzanti di Christian Boltanski (“Le Théâtre d’Ombres”, 1985-1990), in apparenza innocue, ma che rivelano ombre tutt’altro che rassicuranti. Lo spettatore-sognatore confida poi nella luce, nel sogno “stato idillico di vita beata”. Le foto-social sotto la pioggia dorata realizzata dall’architetto giapponese Tsuyoshi Tane si sprecano. “LIGHT is TIME” (2014) consta di oltre 65mila piastre metalliche – ingranaggi di orologi – che brillano nel buio e fanno perdere l’orientamento: il tempo si dilata, i confini dello spazio si perdono, sembra che un sogno così non finisca mai più, ma l’idea non fa paura.
Si esce dal Chiostro del Bramante continuando a sognare a occhi aperti. Più volte abbiamo avuto le vertigini, tutti partecipi dello stesso sogno, accomunati dal divagare, ma ognuno col suo personalissimo punto di vista.