Situazione attuale in Libia
Bani Walid, scrive oggi l’Ansa, è tornata sotto il controllo dei miliziani fedeli al regime di Gheddafi. La legge elettorale che il Comitato Nazionale di Transizione ha approvato, riferisce la stessa fonte, è oggetto di polemiche e divisioni interne, e comunque slitta al 28 gennaio. Inoltre molte sono le armi disponibili sul territorio e frequenti gli sconti armati. Questa è la situazione attuale in Libia, situazione che, a distanza di mesi dall’operazione Nato, occupa davvero poco spazio nelle informazioni nazionali.
Quello che accade in Libia, a mio avviso, è comune a quanto avvenuto prima in Iraq e in Afghanistan, sebbene siano molte e notevoli le differenze: l’uso della violenza e della guerra per portare la pace. Il paradosso sarebbe evidente a tutti, se non fossimo così immersi nella nostra cultura da credere possibile che queste due cose coincidano in qualche modo. La situazione attuale in Libia sembra però essere l’ennesima conferma di quanto molti dicono: con la guerra non si porta né pace né democrazia.
Non voglio entrare nel merito delle ragioni politiche, sociali o economiche delle azioni militari (dire guerra di pace è troppo anche per chi la sceglie) per la pace, ma mettere in luce un aspetto cardine del problema: si tratta di capire prima di tutto cosa è giusto e cosa non lo è, e non teoricamente o a livello esclusivamente morale ed etico, ma da un punto di vista pratico, per chi vive queste situazioni difficili.
Usare la guerra, e quindi la violenza, per portare la pace è sbagliato perché non funziona. Semplice. Nei mesi di bombardamenti libici sono morte moltissime persone, a volte per errori militari, nel nome della pace e della solidarietà. Ma adesso che il regime è crollato, le morti continuano e le violenze non sembrano destinate a finire nel breve. D’altronde come si può pensare che migliaia di persone, dopo aver ucciso i propri fratelli per mesi, di punto in bianco posino i fucili e decidano di dialogare? Come si può uccidere un fratello oggi perché non condivide le mie idee e si oppone, e parlarci pacificamente rispettandone le diversità domani?
La situazione attuale della Libia, ma anche di molti altri teatri di guerre “giuste”, dicono una cosa molto semplice e chiara: se usiamo la violenza per avere ragione, anche se siamo dalla parte giusta, distruggiamo anche i presupposti perché alla violenza segua la pace. Quando prevale l’odio, la violenza, la morte per cambiare la situazione, come posso pensare che sia la pace lo stile di vita che difenderanno coloro che hanno scelto la guerra per apportare questi cambiamenti?
L’ipocrisia è continuare a sostenere lo sforzo militare, ovvero la morte e la distruzione, come soluzione ai problemi. Non serve a niente, perché alla fine raccogliamo da terra migliaia di morti, ci siamo sporcati di sangue le mani, avremo imparato ad odiare e non ad amare, e ci illudiamo di poter fare la pace in questo modo. Non si tratta di utopia, buonismo o moralismo, ma di saper guardare in faccia la realtà, di uscire dalle stanze di potere in cui si prende con leggerezza la decisione di uccidere “altri”, incaricando “altri” di farlo, e cominciare a fare scelte dettate dal rispetto per tutti, nessuno escluso
Sono consapevole che la situazione attuale in Libia sia estremamente complessa e che le varianti siano tante e tali che io non ho modo di trovare così, su due piedi, una soluzione. Ma una cosa sola è certa sopra ogni dubbio: portare morte e distruzione come risposta alla violenza non servirà mai a creare democrazie e pace.