Se il riso è amaro
“In risaia” è una delle prime denunce sulla condizione del lavoro femminile nelle risaie alla fine dell’ottocento ed anche un prezioso documento etnografico. Scritto come un racconto per una strenna natalizia, narra la vita di Nanna, una giovane contadina, descritta con la sensibilità di una scrittrice che sa coglierne tutte le intime ragioni.
Marchesa Colombi, In risaia, Ed. Otto/NovecentoLa scrittrice Maria Antonietta Torriani (1840 – 1920) in arte Marchesa Colombi, nasce a Novara e riesce a completare gli studi, diventando maestra, per via di un secondo matrimonio della madre che, rimasta vedova, cerca in tal modo di sostenere al meglio le precarie sorti economiche della sua famiglia. Di carattere indipendente e ricca d’interessi culturali, M. Antonietta rifiuta un matrimonio di convenienza e si ritira, inizialmente, in un convento. Da lì inizierà a corrispondere con il giornalista Eugenio Torelli Viollier che diventerà in seguito suo marito. Insieme fonderanno nel 1887 Il corriere della sera e lei diventerà la prima penna femminile del giornale. La scrittrice conduce un’intensa vita culturale e il suo stile semplice e diretto è apprezzato anche da Carducci. Sensibile alle problematiche sociali femminili dell’epoca, si interessa alla vita delle mondine che appartengono per tradizione alla sua terra di origine e, nel racconto In risaia del 1878, descrive, attraverso la storia di Nanna, la loro precarietà lavorativa dando rilievo anche alle loro usanze.
Nanna, la protagonista, è una bella ragazza figlia di poveri contadini; la sua vita è essenziale e con poche risorse. Invaghita del carrettiere Gaudenzio, necessita, per indicare di voler maritarsi, di uno spillone d’argento da mettere a guisa di ornamento, com’è costume dell’epoca, fra i capelli e così, per avere il denaro necessario, va a fare la mondina. Il lavoro in risaia consuma il fisico e la salute e la febbre terziaria che, come recita un proverbio: «i giovani risana ed ai vecchi fa suonare la campana», è malanno frequente. Nanna resiste bene il primo anno nonostante la fatica, che è alleviata dai canti e dalla speranza di una vita migliore. L’autrice, nel descrivere questo primo anno di lavoro, dipinge pagine di costume e di tradizioni antiche da cui trapelano sia la solidarietà di quell’universo femminile, sia la soddisfazione di poter raggiungere con le proprie forze un obiettivo di vita.
La situazione di Nanna si capovolge completamente nell’anno successivo quando, a causa di una febbre mal curata, oltre a perdere salute e avvenenza vede sfumare ogni possibilità di matrimonio. Nanna si sente derisa dal suo ambiente a causa del brutto aspetto e inizia a evitare i contatti sociali inasprendo il carattere. I suoi famigliari non la riconoscono più: c’è in lei come una sorta di cattiveria malevola nei confronti di chi vede più fortunato. Si sente tradita dalla vita e dal non vedersi accettata come donna. Una ferita che pare non voler guarire nel crescendo di furia distruttiva che le cova dentro. Nanna vuole essere cattiva quasi che andare contro gli altri la liberi dall’energia negativa che la consuma.
Nell’approfondire quest’analisi psicologica, M. A. Torriani, pur nella semplicità del suo stile, scrive pagine di rara capacità introspettiva e di conoscenza del cuore femminile. Poi, nell’evolversi della vicenda e quasi sull’orlo di una tragedia famigliare abilmente costruita dalle bugie di Nanna, arriva come una sorta di conversione, portata dall’atmosfera del Natale imminente. I rintocchi della campana che annunciano la messa spingono Nanna a ravvedersi e le rinnovellano la speranza di poter cambiare la propria sorte tornando a essere quella che era. Nanna accetterà la proposta di matrimonio di Pacifico, un vedovo che da sempre la ama per quello che è e si costruirà, insieme con lui e la sua bimba, una famiglia.
Emanuela Carbonelli