Ryszard Kapuscinski. Reporter, scrittore, vagabondo
Ci sono figure che rimangono nella storia per i motivi più disparati. Lo sappiamo bene: santi, tiranni, despoti, pazzi, poeti, martiri, assassini, salvatori, demagoghi. La storia ce li restituisce spesso cambiati. I tiranni sono più tiranni, probabilmente, o si mutano in benefattori del popolo, e i buoni sono santi, o alla lente distorta del tempo appaiono come mistificatori. Il meccanismo è lo stesso, meno ingenuo forse, del ricordo. Il dolore e la gioia, nei nostri ricordi, assumono forme diverse, mistiche, liriche: il primo amore è sempre il più grande, il più doloroso; le persone care, perdute, sono sempre buone, gravi perdite, emendate dai loro difetti che, in vita, ci sembravano tanto fastidiosi. Questa è la vita di tutti i giorni, certo, ma anche per la Storia, quella con la esse maiuscola, le dinamiche non cambiano di molto. Probabilmente si incrociano con altre necessità, altri meccanismi, più o meno calibrati, mirati, tendenziosi, ma come in molte altre cose, il passo è sempre più breve di quanto si immagini.
Ryszard Kapuscinski è nato a Pinsk nel 1932, allora Polonia, poi Urss, oggi Bielorussia. I confini geografici sono ingannevoli, mutano continuamente, seguendo logiche estranee al cuore. Vive la sua giovinezza negli anni della guerra fredda, periodo duro per la Polonia, che vedeva i suoi confini sbarrati, vicoli ciechi che impedivano a una nazione di vedere “oltre”. Non gli è concesso oltrepassare i confini del suo mondo geografico, ma valica le frontiere della sua geografia personale, più e più volte, in attesa del momento giusto. Kapuscinski è testardo: a venticinque anni viene assunto dall’agenzia di stampa polacca, la Pap, che gli affida il difficile compito di coprire l’Africa, una zona in quel periodo molto calda. Siamo alla fine degli anni ’50 e in Africa si assiste a cambiamenti epocali, il paese è in tumulto, è la primavera dei movimenti indipendentisti. Kapuscinski non esita, parte. Rimarrà in Africa per oltre dieci anni, inviando le notizie alla Pap via telex.
Kapuscinski è stato un uomo piuttosto semplice, e da uomo semplice viaggiava, oltrepassava frontiere, poi si sedeva, si guardava intorno, sorrideva forse, scriveva, diventava parte di quel luogo. Aveva due taccuini: uno per guadagnarsi da vivere, in cui scriveva le notizie per i giornali, e l’altro in cui incanalava tutto ciò che considerava difficile da descrivere come semplice cronaca, ma che premeva per essere raccontata attraverso i suoi occhi, la sua coscienza.
La casa editrice Feltrinelli, seppure con qualche anno di ritardo rispetto all’edizione originale (Shah in Shah, del 1982, esce in Italia solo nel 2001, quasi vent’anni dopo!), ha portato in Italia le opere, fondamentali, meravigliosamente trasversali, di Kapuscinski. Reportage, narrativa, antropologia: la sua visione del mondo, la descrizione degli avvenimenti vissuti in prima persona, immerso in quella parte di mondo che muta sotto i suoi piedi, rimane per molti di noi, tutt’oggi, una delle poche realtà credibili. Del 1993 Imperium, un saggio-reportage sul dissolvimento dell’impero sovietico; del 1990 Lapidarium (in Italia nel 1997), bellissimo intarsio di esperienze, intuizioni, viaggi, incontri; poi Ebano, del 1998, toccante raccolta di scritti, testimonianze dirette degli eventi politici che hanno scosso l’Africa degli anni ’60, della nascita dei nuovi stati guidati da leader sanguinari, delle tragedie del Ruanda. Ma la sterile cronaca dei massacri, delle dignità violate, della povertà africana lascia spazio ai volti delle persone che incontra per le strade polverose, dei medici locali dove cura la sua tubercolosi come ogni africano, ogni giorno. Ebano è un libro meraviglioso che «non parla dell’Africa, ma di alcune persone che vi abitano e che vi ho incontrato, dei giorni che abbiamo trascorso insieme. L’Africa è troppo grande per poterla descrivere. È un continente-pianta a sé stante, un cosmo vario e ricchissimo. È solo per semplificare e per pura comodità che lo chiamiamo Africa. A parte la sua denominazione geografica, in realtà l’Africa non esiste».
Kapuscinski è morto il 23 gennaio del 2007, a Varsavia. Se fosse ancora con noi sarebbe partito per la sua amata Africa, a vivere in prima persona questa nuova primavera di rivoluzioni. Avrebbe scritto, ci avrebbe raccontato cosa succede lì, in Libia, in Egitto, per le strade, dentro le case. E penso che oggi la Storia, attraverso le sue storie, sarebbe più vera.
Francesca Pavano