
Raggiunge il culmine della sapienza chi sa di che cosa debba gioire e non pone la propria felicità in potere altrui
«Raggiunge il culmine della sapienza chi sa di che cosa debba gioire e non pone la propria felicità in potere altrui» (Seneca, Lettere a Lucilio, III, 23)
Come possiamo riuscire a capire di cosa dobbiamo gioire. Spesso ciò che ci provoca gioia è fugace, passeggero, dura un istante e se ne va. Pensiamo alla bellezza, che sfiorisce col tempo. Pensiamo al denaro o al successo nel lavoro, che possono entrambi subire le vicende della fortuna.
E poi ci sono le relazioni, quelle di coppia e non solo, che però fanno sì che tutti noi basiamo la felicità in potere altrui, come scriveva Seneca. Non possono quindi essere beni che ci condurranno alla vetta, alla sommità, ma ci costringeranno sempre a dover “avere qualcosa” per essere felici.
L’unica chiave davvero indistruttibile che può donarci una felicità perpetua è la presenza di Dio nella nostra vita e l’aver fatto di Lui il primo pensiero, il primo interesse, il primo bisogno.
Dobbiamo quindi guardarci attorno e chiederci: tutto ciò che mi fa alzare la mattina ed essere felice, durerà per sempre? Se la risposta è sì − ma non deve essere una speranza o una nostra invenzione −, allora siamo sulla buona strada.