La didattica museale: esperimento o utilità sociale?

Ormai ne sentiamo parlare continuamente, ma la didattica museale può realmente entrare a far parte delle competenze di un museo, sia esso profit oriented o non? L’educazione è una prerogativa che può accollarsi l’istituzione-museo senza rischiare di interferire con un obiettivo primariamente scolastico? (Foto: Flickr cc Oranges and lemons)

Moltissime organizzazioni di produzione culturale ormai inseriscono nella loro governance (strategia a lungo termine) la didattica museale come competenza specifica del museo, che dedica spesso e volentieri un’area e degli uffici appositi predisposti a questa mansione, rivolta specificamente alle classi di giovani e studenti, come anche laboratori creativi per avvicinare anche i più piccoli al sapere artistico, un sapere fatto anche di manualità che necessita di essere praticata costantemente anche per poter entrare meglio in contatto con l’opera.  Secondo la definizione dell’ICOM, infatti, il museo deve coniugare obiettivi di diletto ed educazione (nozione riassunta nel termine edutainment) per favorire la divulgazione e la conoscenza dell’arte anche alle più giovani categorie di appassionati.
I musei, ricettacoli di esperienze condivisibili e conservatori delle testimonianze materiali e immateriali dell’umanità, sono fonti inesauribili da questo punto di vista: danno la possibilità di consultare documenti autentici e di favorire un approccio sempre dinamico e diretto con l’opera, inserita in un contesto storico-culturale specifico che rende l’elemento non divisibile dal suo insieme. In Italia si inizia a parlare di “Didattica museale” solo dopo il secondo dopoguerra, nei primi anni della Repubblica. La ripresa postbellica implicava la riapertura al pubblico di massa con numerosi programmi ed attività innovative: attualmente vi è una spinta sempre più prorompente verso un accentramento delle competenze artistico-tecniche all’interno del “nucleo museo” che diventa così fonte di avvicinamento e di scoperta di numerose iniziative (non solo di didattica: si pensi per esempio a un fenomeno che sta sempre più prendendo piede come quello dell’aperitivo domenicale al museo).
I musei quindi prediligono, soprattutto ultimamente, procedure didattiche di estensione qualitativa dove vi sia una sperimentazione attiva da parte dei destinatari, ai quali si vogliono offrire dei contenuti significativi piuttosto che nozionistici. Diversi musei ormai dedicano programmi speciali per gli studenti, per esempio la Guggenheim di Venezia che, in collaborazione con la Regione Veneto, offre alle scolaresche l’apertura anticipata del museo (early opening) per guidare all’interno della collezione le classi di studenti, quando ancora non sono aperte le porte al pubblico, accompagnati dalle spiegazioni di guide (docents) formate all’interno del museo stesso. Questa pratica affianca quella più classica e famosa di “A scuola di Geggenheim” che propone attività laboratoriali che consentono di entrare in contatto con le diverse tecniche artistiche. In questo modo non solo si offre un programma didattico integrato e completo in cui le guide, attraverso un percorso altamente formativo, sono incentivate ad un continuo scambio con le future generazioni, ma si predilige un focus particolare sulle opere d’arte, interrelate da continui scambi ed elementi ricorrenti.  La spiegazione delle opere diviene così un momento non solo educativo ma anche di ludico intrattenimento, aperto alla conversazione e alle domande. Le guide, che spesso con coraggio e pazienza guidano gli inesperti all’interno del museo ancora chiuso, spesso cercano di trasmettere anche ai più giovani concetti importanti come quelli dell’arte moderna, scoprendo i vari richiami tra artisti apparentemente molto diversi.

Franzin Ester

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