Haiti, dal finestrino di un Tap-Tap

Tap-Tap è il colorito appellativo del trasporto pubblico haitiano su strada. Le coloratissime decorazioni su fogli di latta incollati sulla superficie del mini-bus e le originali scritte invocanti la benedizione di tutti gli dei sono l’incipit degli spostamenti tra le precarie vie di comunicazione dell’isola caraibica. Ma la vera avventura sono i compagni di viaggio. (Foto: © Giulia Giudici )

1. Un gruppo di giovani di O’kap aiuta una persona a salire dal finestrino di un autobus in corsa (Cap Haitien, aprile 2010)

Con la stessa naturalezza con cui mi guardo bene dall’afferrare la poco igienica sbarra per sorreggermi durante la tratta QT8-Cadorna, in metropolitana a Milano, mi accingo ad affrontare un viaggio in un camioncino che si potrebbe, senza esagerare, definire un «carro bestiame». Cap Haitien, Haiti, giugno 2011.
Al mio arrivo alla stazione dei Tap-Tap – così vengono chiamati ad Haiti i mezzi pubblici – scavalco a fatica l’agglomerato di mercanzia non ben definita che giace al suolo, e mi dirigo verso un groviglio di persone il cui vociare copre le note incessanti della musica Kompa sparate dalle casse giganti di un ti magazyn. Subito vengo accerchiata da un paio di ragazzi: “Ki kote w prale mon ti blan?” (dove devi andare mia piccola bianca?), “Kote O’kap, wi!” (a Cap-haitien!) rispondo, ignorando il fatto che, per l’ennesima volta, il colore della mia pelle li abbia attirati a me come mosche sul miele.
Inizia la loro lotta a chi riesce a vincere la bambolina di porcellana da portare sul proprio Tap-Tap: mi strattonano come le belve sogliono fare con i brandelli della preda. Reagisco. Ricevuta la grazia di poter scegliere autonomamente su quale mezzo salire, mi trovo ad escogitare un piano che mi porti alla scelta ottimale: pensando all’italiana – o all’europea – verrebbe spontaneo salire sul bus che ha più posti liberi; pensandola all’haitiana, è consigliabile optare per quello che straborda di passeggeri. Sì, perché l’illusione di essersi conquistato un posto che includa uno spazio vitale di 10 cm², svanisce con la speranza di arrivare in tempi accettabili a destinazione!

2. Commercianti di frutta e uova si dirigono con la propria mercanzia alla stazione dei Tap-Tap (Ouanaminthe, ottobre 2011)

Sarebbe saggio comprendere fin dall’inizio che in questo Paese non esiste la concezione del tempo come la intendiamo noi. Qui, i minuti, le ore e talvolta persino i giorni non sono considerati come unità di misura temporale, ma piuttosto in termini di cucchiai di riso: l’obiettivo da raggiungere non è l’efficienza di un servizio pubblico pensato per gli utenti, ma l’ottimizzazione dello spazio, pur sfidando qualsiasi regola della fisica, della meccanica e, senza ombra di dubbio, del buon senso: più passeggeri, più chicchi di riso!
Ed è così che, ad Haiti, non esistono orari per il trasporto pubblico, la speranza di arrivare presto a destinazione dipenderà dalla capacità del choffer di raccogliere il maggior numero possibile di passeggeri in un tempo relativamente breve.
Opto, quindi, per un Tap-Tap che sembra al completo, mi faccio spazio tra i passeggeri; in mio aiuto accorre il choffer che con una destrezza impressionante fa apparire un posticino a mia misura tra due omoni giganteschi, ed ecco che da un paio di sedili si ottengono facilmente posti per quattro o cinque persone!

3. Un tipico, coloratissimo Tap-Tap haitiano preso d’assalto da venditori ambulanti, passeggeri e mendicanti (Port-au-Prince, luglio 2010)

Forse in Italia, a furia dei quotidiani ritardi che ci regalano i servizi pubblici, ci siamo un po’ ammorbiditi sul tema, ma in molti Paesi d’Europa già al terzo minuto di ritardo si sollevano le prime imprecazioni… ad Haiti le timide lamentele cominciano a giungere alle orecchie del conduttore dopo un paio d’ore.
Approfitto dell’attesa per osservare l’incessante via vai di persone intorno al nostro bus: venditori ambulanti che ti urlano da fuori del finestrino qualsiasi genere di prodotto abbiano all’interno di scatoloni che con disinvoltura portano caricati in testa; bambini che elemosinano una manciata di gourds con un’insistenza quasi fastidiosa; i cosiddetti pap pa’dap che si aggirano con un telefono a fili immancabilmente di colore rosso offrendo un servizio telefonico a coloro che non si possono permettere un cellulare; poco più in là, invece, un generatore mobile di elettricità, posto su un banchetto di legno improvvisato, viene preso d’assalto da chi ha bisogno di caricare la batteria del proprio portatile.
Non penso, non giudico, non opino, non mi stupisco. Mi limito ad osservare.

4. Un improvvisato mercato di frutta e verdura nel bel mezzo della stazione dei bus (Ouanaminthe, febbraio 2011)

Nel frattempo una signora mi fa segno di sollevare i piedi. Eseguo. Lascio che posizioni la sua mercanzia sotto il mio sedile: una dozzina di polli vivi legati con una cordicella! Davanti a me un ragazzino tiene in mano un sacco di iuta che non ne vuole sapere di star fermo e dal quale si possono percepire gli inconfondibili miagolii di un paio di gattini; qualche sedile avanti una giovane donna allatta il proprio bebè, al suo fianco, una non altrettanto giovane tiene sulle ginocchia un cucciolo di capra.
Ma è solo quando vedo marciare in direzione del bus un uomo con due maiali giganti che inizio a preoccuparmi. Fortunatamente i due porcellini verranno sistemati sul tetto del bus insieme all’altra mercanzia considerata «pesante ed ingombrante».
Dopo un paio d’ore siamo proprio al completo: si può partire, e che Dio ce la mandi buona!
Altrove si dice: si sa quando si parte ma non quando si arriva. Ad Haiti mi azzardo a modificare il motto: non si sa quando si parte né se si arriva.

Giulia Giudici

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