La cultura e le culture: fare l’Erasmus deve essere un’occasione
25 anni fa nasceva il progetto Erasmus, finalizzato a mettere in relazione studenti di varie nazionalità, dandogli l’opportunità di trascorrere un periodo di alcuni mesi in un ateneo di un’altra nazione. I bilanci – almeno quelli numerici – sono positivi. L’anno accademico 2010/2011 ha registrato 231mila adesioni e tre nostri atenei (Bologna, Firenze e La Sapienza di Roma) risultano nei primi dodici posti nella classifica delle “mete” più gettonate dagli universitari esteri.
Fare l’Erasmus è sicuramente un’occasione da non sottovalutare. In un mercato del lavoro ormai globale, in una cultura che pretende, come fattore di sapere, la conoscenza di più lingue, non può che essere una fonte di arricchimento personale. E poi c’è la cultura. Conoscere la realtà di un altro Paese, anche europeo, non è cosa da poco. Lo scambio, il confronto, il cibo, le abitudini, l’università, le iniziative: tutti elementi che devono diventare parte del bagaglio interiore del “viaggiatore”.
Purtroppo, a volte, si corre il rischio di trasformare l’Erasmus in una vacanza, perdendo molti tratti dell’esperienza formativa. È chiaro che dipende dallo studente. Non credo sia la cosa migliore fare l’Erasmus come se si trattasse di una gita fuori porta, di una pausa dallo studio. Anzi, proprio quest’ultimo e il confronto serie e diretto con i professori dell’università di destinazione possono – e forse devono – rappresentare il sale di questa esperienza.
Marco Papasidero