Attenzione: cervelli in fuga!
In Italia, come nel resto d’Europa, la fuga dei cervelli non è un luogo comune, ma una realtà concreta e difficile da risolvere. I Paesi più colpiti sono quelli dove il talento è poco remunerato, ma il fenomeno assume caratteristiche diverse viaggiando attraverso le più grandi nazioni europee.
Esodo dei cervelli, emigrazione dei talenti, brain drain, modi diversi per indicare un solo fenomeno: la fuga dei cervelli, espressione formulata nei primi anni Sessanta del secolo scorso, dalla Royal Society, per riferirsi all’esodo di scienziati e ricercatori britannici verso gli USA. Il concetto, in seguito, è stato esteso a tutta la forza lavoro qualificata che migra verso Paesi stranieri, in cerca di lavoro. Da innumerevoli studi sull’argomento, il nostro Paese risulta essere tra i più colpiti da questa piaga: si registra, infatti, per l’Italia il tasso di emigrazione più alto, superiore al 9%. Due sono i flussi migratori che interessano il Belpaese: uno è quello che vede un’ingente massa di laureati lasciare il Meridione per approdare nelle regioni più sviluppate del Nord, alla ricerca di opportunità di lavoro adeguate al titolo di studio. L’altro è, invece, lo spostamento dall’Italia nei vari Paesi europei e d’oltralpe. Più del 50% dei nostri concittadini vive in Europa: la Germania è il Paese europeo con più laureati italiani. Seguono la Svizzera, la Francia, il Belgio e il Regno Unito. Ma più di un milione e mezzo dei nostri talenti si trova in America e in Argentina. Il problema più grande dell’Italia è che, non essendo un Paese di forte attrattiva, alla grande quantità di cervelli altamente qualificati, che lascia l’Italia per economie che premiano il talento, corrisponde un irrilevante flusso immigratorio di laureati scarsamente qualificati.
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Ma cosa accade nel resto d’Europa? Per quanto riguarda i flussi import-export, all’interno dell’OCSE, la Francia è sotto di circa 70mila cervelli, la Spagna di 43mila, l’Olanda di 84mila, la Germania di 370mila. Ma tutte queste grandi nazioni non solo attirano molti più laureati, rispetto all’Italia, ma recuperano con l’immigrazione qualificata dai paesi non OCSE, fino ad andare in attivo. I grandi poli di attrazione restano il Canada, l’Australia e gli Stati Uniti, capaci di attrarre complessivamente quasi dieci milioni di ingegni stranieri. La differenza fondamentale sta nel fatto che in queste nazioni europee vengono messe in atto politiche per investire sul futuro dei giovani: è lo Stato che interviene concretamente per avere dei lavoratori qualificati. In Francia, come in Germania, dove, negli ultimi mesi del 2011, la disoccupazione giovanile ha registrato una lieve diminuzione, vengono previste agevolazioni per uscire di casa e studiare all’università: assegno di studio per ogni ragazzo, affitti delle case molto bassi, sostegni alle famiglie e rette universitarie accessibili a tutti. Il fattore economico diventa motivo di migrazione dei cervelli anche nell’est-europeo: esempi significativi sono la Russia e la Polonia, dove, ancora una volta, le classi politiche non sfruttano i risultati eccezionali dei propri scienziati, rendendo inutile e poco remunerato il loro lavoro. Per questo, solo quando ci sarà un giusto processo di scambio, la fuga dei cervelli non sarà più una piaga da guarire, ma un incentivo allo sviluppo delle economie europee.
Valentina Lauria
Foto: http://www.flickr.com/photos/53690113@N05/5564000426/
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