Arte e mestiere: l’artista geniale e l’artista “corale” tra mito e mercato

La parola artista di solito ci rimanda direttamente all’idea di genio e sregolatezza, unicità e follia. Questo stereotipo, che separa in modo netto arte e mestiere, è frutto di una visione limitata e limitante dell’arte e dei suoi artefici, che per millenni ci hanno regalato grandi capolavori pur rimanendo nell’ombra dell’anonimato.

Fin dall’antichità la produzione delle grandi opere d’arte è stata regolata in modo istituzionale: l’artista era la mano esperta che traduceva in immagini bi- o tridimensionali l’ideologia dominante. Il lavoro veniva eseguito da squadre di maestranze tanto esperte quanto misconosciute ai più. Arte e mestiere si fondevano nella tensione di raggiungere il risultato ottimale; l’artista faceva parte di un coro, il cui prodotto finale era frutto dello sforzo collettivo, della sincronia tra le parti. Per millenni quella che oggi chiamiamo arte, e conserviamo gelosamente nei musei, è stata creata da artisti ignoti di cui non ci restano che le opere. L’espressione artistica più schietta e genuina, quella che ancora ci parla dei loro tempi, è stata realizzata da volti e nomi che rimarranno per sempre sconosciuti e che ci parlano attraverso i segni lasciati sulla pietra o sulle tele. Questi “artisti corali” erano perfettamente padroni del loro mestiere, e nello stesso tempo talmente grandi da rinunciare umilmente a una porzione del loro ego per confondersi nel coro, per alienarsi in senso buono, per immergersi nel servizio. Quest’immagine sfumata dell’artista corale è in netto contrasto con i risvolti tipici del XX secolo che non ci hanno ancora abbandonati.

Oggi più che mai il successo di un lavoro artistico è direttamente proporzionale alla notorietà del suo artefice; gli operatori del settore sono sempre alla ricerca di personalità che si distinguano dal marasma del sottobosco dell’arte per proporli ai collezionisti, veri termometri dell’andamento dell’arte contemporanea.artista-corale-2
Nel nostro immaginario collettivo la parola artista connota il deus ex machina degli imbarazzi ideologici e culturali degli ultimi due secoli. Questa tendenza, relativamente recente, è stata determinata dalle trasformazioni politiche e culturali della società, non ultima tra queste l’organizzazione di alcuni settori del mercato secondo il modello industriale hollywoodiano dello star system.

Fin dal secolo scorso, il mondo dell’arte ruota intorno a delle personalità carismatiche come Dalì, Picasso, Pollock, per non parlare di Andy Warhol e della sua “Art Factory”, ovvero fabbrica dell’arte, che nel cuore di New York, adeguando l’arte ai canoni della produzione industriale, riproduceva le sue creazioni con mezzi meccanici, offrendo al pubblico serigrafie e perfino fotocopie, valutate a prezzi indicibili solo per essere state generate da una sua idea, per essere marchiate dalla sua firma. In questa fase l’artista firmatario, dunque, trascende la sua opera, è presente solamente con la sua idea. Già, la firma. La griffe, per dirla alla francese. La punta di diamante del mercato attuale – pensiamo ad esempio alla moda – è costituita da prodotti “griffati”, cioè firmati. Non importa se materialmente prodotti nel ventre di Napoli o da schiavi cinesi, l’importante è che esibiscano la firma dell’artista, anche se quest’ultimo, di solito, non ha avuto occasione di sfiorarli neppure con uno sguardo distratto.

Il primato delle personalità carismatiche e catalizzatrici ha eclissato dunque la discreta e anonima coralità che ha caratterizzato la pratica artistica dall’antichità fino alle soglie del Rinascimento. Gli artisti corali in effetti non sono mai scomparsi e costituiscono ancora oggi la spina dorsale della produzione e della conservazione artistica. Nessuno parla di loro ma possiamo ammirare molte delle loro opere nei moderni edifici, sia civili che religiosi, della committenza.
Attualmente sembra che il valore intrinseco di questa coralità, i valori in essa racchiusi, siano in fase di rivalutazione da parte di artisti emergenti alla ricerca di soluzioni all’attuale fase di stallo economico e culturale. In un recente articolo lo studioso Vincenzo Trione, critico d’arte e professore presso la Facoltà di Architettura della Seconda Università degli Studi di Napoli, definisce questa nuova tendenza, diffusa in tutto il mondo, “neo-movimentismo”, e davvero sembrerebbe il superamento del solipsismo narcisistico del XX secolo. L’essere e, soprattutto, sentirsi qualcuno nell’ambito dell’arte non sembra quindi strettamente vincolato a una personalità accentratrice e dominante, quanto piuttosto alla capacità di una sensibile ed efficace capacità di ascolto e accettazione dell’altro.

  Laura Marsano

Foto: Spigoo

 

Laura Marsano

Studi classici. Laureata in psicologia a Padova, con un Master in Educazione dell’US International University, Campus San Diego CA. Da sempre appassionata di arte, letteratura, linguistica e antropologia. Ha avuto esperienza internazionale in campo accademico come insegnante di lingua e cultura italiana, materie artistiche e psicologiche. Da molti anni svolge attività di traduttrice di testi letterari e generici. Dagli anni ’80 collabora con riviste di arte e cultura, sia in Italia che all’estero.

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